Wired ha svelato che venerdì scorso la United States Copyright Royalty Board ha stabilito nuove royalty per il webcasting. Negli ultimi mesi il confronto tra International Webcasting Association e SoundExchange , l’ente non profit vicino alla RIAA che si occupa delle royalty sui contenuti audio digitali, si era fortemente scaldato.
L’organizzazione che cura gli interessi dei webcaster, da tempo, sostiene una campagna di alleggerimento dei costi: una mossa volta al consolidamento di questo nuovo settore emergente. Di altro avviso i detentori dei diritti di copyright (editori ed artisti) che alla fine – come sempre più spesso avviene nel settore musicale – sono riusciti a strappare alla Copyright Royalty Board aumenti di un certo spessore.
Si passerà quindi dagli 0,0008 dollari del 2006 – per lo streaming di una traccia audio per singolo utente – agli 0,0011 dollari del 2007. Insomma, una “mazzata” progressiva perché già nel 2008 si passerà a 0,0014 dollari; nel 2009 a 0,0018 dollari e nel 2010 a 0,0019 dollari.
Radio and Internet Newsletter ( RAIN ) ha calcolato che, considerando il traffico di una stazione media che trasmette 16 canzoni all’ora, rispetto al 2006, l’aumento sarà di circa 1,28 centesimi ad ascoltatore per ora. Un rincaro che secondo gli operatori renderà la radio online economicamente insostenibile – o comunque più dipendente dalla pubblicità di quanto non sia quella terrestre.
“Anche considerando le entrate pubblicitarie non si riuscirà a superare gli 1/1,2 centesimi per ascoltatore per ora. La matematica lascia intendere che le nuove royalty – senza contare quelle dei compositori! – sono in grado di mangiarsi tutto”, scrive Daniel Mcswain di RAIN.
Un webcaster, in pratica, per essere in regola dovrà sborsare ogni anno almeno 500 dollari per canale. Al momento inoltre non è chiaro cosa Copyright Royalty Board intenda per “canale”: una radio station forse? O ogni playlist personalizzata?
Per quanto riguarda l’Italia, invece, le norme che riguardano i webcaster “sembrano” decisamente più favorevoli. Come aveva spiegato Filippo Rinaldi di BMG Ricordi, lo scorso aprile sulle pagine di Apogeonline , è sufficiente sottoscrivere una specifica licenza Siae e pagare i “diritti connessi”.
“Secondo la legge sul diritto d’autore ( Legge 633/41 ) ogni volta che viene diffusa in pubblico una registrazione musicale, il produttore di tale registrazione ha diritto a ricevere un compenso per l’utilizzo che ne viene fatto. Per diffusione in pubblico si intendono tutti quei contesti non privati in cui viene suonata o interpretata musica registrata: ad esempio trasmissioni radiofoniche e televisive… e naturalmente anche Internet”, aveva dichiarato Rinaldi.
Anche sulla diffusione online e la sola licenza SIAE correlata, il manager italiano non sembrava avere dubbi. “No, non è sufficiente. Occorre coinvolgere tutti gli aventi diritto o i loro rappresentanti. SIAE e SCF ( Società Consortile Fonografici ) sono due istituzioni diverse con distinte finalità. La SIAE gestisce e tutela i diritti degli autori dei brani musicali, a prescindere da chi li esegue e da chi ne effettua la registrazione. SCF invece gestisce e tutela i diritti che la legge riconosce per compensare quei soggetti che – insieme agli autori – rendono possibile l’esistenza di una registrazione di una esecuzione: gli artisti interpreti ed esecutori e i produttori fonografici. SCF inoltre non gestisce i diritti di sincronizzazione “.
Per un ulteriore approfondimento sulle normative SIAE per le web radio è da segnalare il lungo post sul blog di Fabrizio Mondo . Al contrario delle considerazioni di Filippo Rinaldi il quadro appare decisamente più traballante.
Dario d’Elia