Una corsia preferenziale, percorribile da quei ” detective digitali italiani impegnati nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche”. Un patto di collaborazione, che di fatto consegnerebbe alle forze dell’ordine “il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l’autorizzazione di un pubblico ministero”. Sono alcuni estratti da un recente articolo apparso tra le pagine online del settimanale L’Espresso , intitolato La polizia ci spia su Facebook .
Un accordo siglato in gran segreto tra alcuni dirigenti della Polizia Postale e gli alti vertici del social network più popoloso del web, Facebook. “Un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network – si può leggere nell’articolo – senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale”.
I circa 400 agenti della Direzione Investigativa della Polizia Postale potranno in sostanza “sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani” sul celeberrimo sito in blu. L’articolo esclusivo di L’Espresso ha quindi citato un investigatore milanese rimasto anonimo, che ha ammesso di aver ottenuto dai responsabili di Facebook Italia il permesso di visualizzare centinaia di profili , “riuscendo persino ad avere accesso ai contenuti delle chat andando indietro nel tempo fino ad un anno”.
Il tutto con l’autorizzazione della magistratura. Certe violazioni della legge sulla riservatezza delle comunicazioni verrebbero così praticate con disinvoltura , almeno secondo le fonti (anonime) interpellate. “Non sempre facciamo un resoconto alla procura e nei verbali ci limitiamo a citare una fantomatica fonte confidenziale”, dicono. Queste confessioni, supportate dal presunto patto segreto stipulato in terra californiana tra le forze dell’ordine e Facebook, hanno subito scatenato le reazioni più dure.
Ma una smentita è arrivata tempestiva, da parte del direttore centrale della Polizia Postale Antonio Apruzzese. “Figuriamoci se la polizia si mette a spiare i navigatori di Facebook – ha spiegato – Quando la Polizia Postale o altri organi si dovessero trovare ad intercettare comunicazioni su Facebook, ci si muoverebbe sempre con l’autorizzazione della magistratura. Anche perchè nel caso contrario tutto ciò che si fa non avrebbe alcun valore processuale. Anzi, se violassimo la Rete senza autorizzazione della magistratura commetteremmo un reato penale”.
Nel tentativo di placare gli animi, Apruzzese ha inoltre elencato la serie di reati per cui la magistratura può concedere l’autorizzazione. “Sono i reati ammessi dalla legislazione anglosassone: quelli contro la persona, il patrimonio, i suicidi, gli omicidi e la criminalità organizzata. Perchè velocizzare queste procedure? Se qualcuno su Facebook annuncia che si vuole uccidere, che facciamo, avviamo tutte le pratiche delle convenzioni internazionali? Il tutto, ovviamente, con l’autorizzazione del magistrato”. Apruzzese ha dunque sottolineato come un incontro con il sito in blu ci sia stato, ma in Italia: obiettivo, stilare delle linee guida per la richesta d’accesso alla rete per vicende di polizia giudiziaria .
Mauro Vecchio