L’elettronica si miniaturizza sempre più e fa aumentare la domanda di altrettanto miniaturizzate fonti di energia. Il Massachussetts Institute of Technology, attento a questa esigenza, sta sviluppando batterie davvero microscopiche .
La responsabilità della miniaturizzazione è stata affidata addirittura ai virus . No, non a quelli informatici, ma a dei veri virus che si prendono l’incarico di assemblare gli anodi al di sopra dei livelli dell’elettrolita, procedendo in pratica ad una sorta di stampa biologica .
Tutte le batterie consistono in due elettrodi opposti (un anodo e un catodo) separati da un elettrolita. Il MIT ha depositato su uno strato gommoso perfettamente pulito una serie di minuscoli alloggiamenti, con un diametro che va da quattro a sei micron (da 0,004 a 0,006 mm), servendosi di una tecnica chiamata litografia leggera (vedi figura). Sopra a questi alloggiamenti hanno depositato diversi livelli di un polimero che agisce da elettrolita.
È poi toccato ai virus, che si auto-assemblano al di sopra del polimero e formano uno strato che finora si è cercato di usare come elettrodo: una tecnica che il gruppo aveva già scoperto nel 2006. Il lavoro attuale è consistito nel modificare geneticamente questi virus, in modo che gli strati proteici divenissero avidi di molecole di ossido di cobalto e formassero così dei sottilissimi filamenti conduttori, vale a dire, finalmente, un elettrodo usabile .
Il risultato è strabiliante: la struttura complessiva così costruita è di 4/6 micron di diametro ed altrettanto spessa. Il campo di applicazione è vastissimo ma, a detta dei ricercatori, l’impiego principe è evidente in microscopici apparecchi elettromedicali. Tra l’altro, una siffatta batteria non deve affatto avere forma obbligata: i ricercatori già pensano a batterie flessibili.
“Ci risulta che sia la prima volta che la “stampa” di microcontatti viene impiegata per produrre e posizionare elettrodi in una microbatteria, e che sia la prima volta che vengono impiegati dei virus per l’espletamento del processo di assemblaggio (di elettrodi funzionanti, ndR)”, scrivono i ricercatori Paula T. Hammond , Angela M. Belcher , Yet-Ming Chiang e colleghi (in figura). Il nuovo processo ha infatti consentito di superare uno degli ostacoli maggiori sinora incontrati nella produzione di microbatterie, cioè proprio l’ingombro degli elettrodi .
Non si parla ancora di potenza, durata e costanza della fornitura di energia. Tuttavia, se solo si riflette sulle dimensioni, si tratta di un passo significativo: Gizmodo ha realizzato un disegno che rende perfettamente l’idea e lascia ben sperare in micro-apparecchi elettromedicali la cui presenza nel corpo umano sia assolutamente impercettibile .
Marco Valerio Principato
( fonte immagini )