Roma – Con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68, in vigore dal 29 aprile 2003, il nostro legislatore ha definitivamente recepito le indicazioni contenute nella direttiva 29/2001/CE, detta anche EUCD (European Union Copyright Directive), riguardante l’armonizzazione della disciplina sul diritto d’autore. Nell’ultimo periodo, il legislatore ha messo mano alla materia con cadenza annuale, a conferma della sua criticità e manifestando, al contempo, un certo affanno rispetto alla rapidissima avanzata della tecnologia.
A parte alcuni adattamenti terminologici (ad esempio il riferimento all’onnicomprensivo “supporto”), con il decreto intervento si è intervenuto, con modifiche e aggiunte prevalentemente alla l. 633/41, sui temi della copia privata e delle “misure tecnologiche” poste a difesa dei diritti dei titolari.
Sul tema della copia privata è stato scritto un intreccio di norme decisamente più complesso rispetto al passato. E, infatti, le regole riguardanti la copia privata non sono certo una novità, ma, anzi, risalgono al 1992. Con la riforma, dunque, si è proceduto ad una migliore integrazione delle norme sul diritto d’autore e si è, comunque, espressamente considerato l’aspetto delle misure tecnologiche.
In particolare, il legittimo possessore dell’originale può (come in precedenza, d’altro canto) copiare, ad esempio, il proprio album musicale preferito per averne una copia da ascoltare sull’autoradio pagando, però, un “soprapprezzo” (l'”equo compenso” obbligatorio tanto discusso) per l’acquisto sia del supporto, sia dell’apparecchiatura di registrazione (videoregistratore, registratore a cassette, masterizzatore, ecc.). La copia, per essere legittima, deve, però, essere fatta in proprio (non da terzi), da persona fisica, senza scopo di lucro, senza fini direttamente o indirettamente commerciali e nel rispetto delle misure tecnologiche.
Sospendendo, soltanto per un attimo, il discorso sulle appena menzionate misure tecnologiche (altro nodo critico della riforma), l’equo compenso è stato da più parti censurato per due ordini di ragioni: da un lato, la possibilità di copia “a pagamento” è vista come un’indebita compressione dei diritti di colui che lecitamente acquista il supporto contenente l’opera; dall’altra, non tutti i supporti sono destinati ad incorporare opere tutelate (laddove possono essere paradossalmente destinati addirittura a contenere opere di chi effettua la registrazione).
Alla prima critica si è risposto osservando che i titolari dei diritti sono legittimati a concedere l’uso anche di una sola copia, limitando le riproduzioni e che, tutto sommato, l’esborso per l’equo compenso è sempre sensibilmente inferiore a quello necessario per l’acquisto di una seconda copia.
Quanto al fatto che il compenso è applicato indiscriminatamente a tutti i supporti a prescindere dalla destinazione alla copia di opere protette, la risposta è stata ancora più ferma: il compenso è detto “equo” proprio perché il relativo calcolo tiene conto sia delle copie di opere protette che di quelle di opere non protette; altrimenti, come detto sopra, l’importo sarebbe stato senza dubbio più elevato.
Sta di fatto che, pur non essendo una novità, l’equo compenso (che, comunque, non è un tributo, ma una quota destinata ai titolari dei diritti senza alcun prelievo da parte dello Stato) è aumentato in modo esponenziale (per un CD audio è, ad esempio, fissato a 0.29 Euro, il 50% circa del costo di tanti supporti ante riforma) con spinte inflazionistiche di non poco conto e con il rischio, secondo alcuni, che si alimenti un mercato dei “supporti pirata”.
Ma non è tutto. Quanto detto sin qui in tema di copia privata ed equo compenso vale esclusivamente per le opere audio e video. Per il software, altra tipologia di opera dell’ingegno di una certa diffusione, si applicano regole diverse. In particolare, secondo l’art. 68-ter, comma 2, l. 633/41 “non può essere impedito per contratto, a chi ha il diritto di usare una copia del programma per elaboratore di effettuare una copia di riserva del programma, qualora tale copia sia necessaria per l’uso”. Ma, ovviamente, i supporti sono sempre gli stessi (ad esempio, i “supporti digitali non dedicati, idonei alla registrazione di fonogrammi, quali CD-R dati e CD-RW dati” di cui all’art. 39 del decreto approvato) con la conseguenza che il compenso si paga anche quando si ha diritto di fare una copia di back-up che la legge vuole affrancata da ogni corrispettivo, anche indiretto, da pagarsi ai titolari.
In merito alle misure tecnologiche, il discorso si fa ancora più critico anche se, come nel caso dell’equo compenso, non si tratta di una novità introdotta con il recepimento della direttiva.
È noto che, già da tempo, ai supporti audio e video sono applicate varie misure protettive, prevalentemente anti-copia. La direttiva ha sostanzialmente preso atto di tale prassi ed ha dettato le sue regole (che non riguardano il software) “girandole” ai singoli Stati dell’Unione, dunque anche all’Italia che, come si vedrà, ha in parte tradito le indicazioni sovranazionali.
Ora, nella nostra l. 633/41, il legislatore ha inserito un articolo specifico sulle misure tecnologiche di protezione (artt. 102-quater) rendendole, come voluto dalla direttiva, espressamente legali, anzi tutelandole. Poco, invece, si è fatto per garantire il legittimo fruitore dell’opera dagli “abusi” dei produttori.
Come visto sopra in tema di equo compenso, i titolari dei diritti possono, di fatto, legittimamente impedire la pur lecita copia privata mediante l’implementazione delle misure, mentre non si può scommettere sull’efficacia dell’art. 71-sexies, comma 4, l. 633/41 il quale, in un testo ambiguo, afferma che “i titolari dei diritti sono tenuti a consentire che, nonostante l’applicazione delle misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater, la persona fisica che abbia acquisito il possesso legittimo di esemplari dell’opera o del materiale protetto, ovvero vi abbia avuto accesso legittimo, possa effettuare una copia privata, anche solo analogica, per uso personale”. Non è affatto chiara, infatti, la condizione di tale obbligo: “che tale possibilità non sia in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera o degli altri materiali e non arrechi ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti”.
Di certo – così passando alle altre norme riguardanti le misure tecnologiche – sarà penalmente perseguito, con una formula più mirata rispetto al passato e sempre se il fatto non è commesso per uso non personale, chi “a fini di lucro ? fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure” (art. 171-ter, comma 1, lett. f-bis); mentre il semplice utilizzatore subirà le conseguente amministrative di cui al nuovo art. 171-quater.
Ma vale la pena di interrogarsi sul trattamento che potranno ricevere la ricerca – anche quella meno “ufficiale”, vale a dire quella condotta al di fuori delle mura accademiche – e la diffusione di strumenti non specificamente destinati alla violazione del diritto d’autore. Tra i “considerando” della direttiva (le “dichiarazioni di intenti” premesse all’articolato vero e proprio) si può leggere: “tale protezione giuridica dovrebbe rispettare il principio della proporzionalità e non dovrebbe vietare i dispositivi o le attività che hanno una finalità commerciale significativa o un’utilizzazione diversa dall’elusione della protezione tecnica. Segnatamente, questa protezione non dovrebbe costituire un ostacolo alla ricerca sulla crittografia”. Purtroppo, come detto, il legislatore italiano ha in parte tradito i propositi dell’Unione e, delle appena citate, condivisibili preoccupazioni, si è curato realmente poco.
La parola passa, inevitabilmente, agli interpreti, in particolare alla magistratura, con il rischio di disparità di trattamento connaturali ad ogni ragionamento umano in assenza di norme sufficientemente chiare.