È un vero e proprio giallo quello che circonda la sorte di Sheep Marketplace. Dopo una settimana di difficoltà tecniche, con crescente nervosismo tra gli utenti, all’improvviso tutto il mercatino è sparito dalla circolazione : nella homepage originale solo un laconico messaggio che rimanda a un furto subito e la successiva decisione di chiudere tutto. Ma non c’è accordo o chiarezza su quanto accaduto , e potrebbe anche darsi che chi ha creato il sito l’abbia fatto col solo scopo di appropriarsi dei bitcoin altrui. Ce ne sono parecchi in ballo, con un valore stimato di milioni di dollari.
Sheep è solo uno dei mercati alternativi che si possono navigare nel cosiddetto “deep web”: sfruttando il protocollo TOR si possono raggiungere queste destinazioni altrimenti precluse ai netizen, e la natura anonima di TOR ha fatto sì che fiorissero al loro interno commerci anche non esattamente legali secondo le legislazioni di molti paesi. Silk Road ha raggiunto la notorietà proprio grazie ai traffici di sostanze illecite e armi che vi transitavano, fino alla chiusura conseguente l’accusa per il suo creatore di aver tentato di assoldare un killer tramite il proprio sito. Sheep non è, sarebbe meglio dire era, molto diverso per qualità di scambi effettuati: la chiusura di Silk Road aveva poi incrementato il giro d’affari (cresciuti nonostante poi Silk Road abbia riaperto altrove ), fino a pochi giorni fa quando si sono verificate le prime strane operazioni.
I primi disservizi si sono verificati attorno al 20 novembre, quando le prime lamentele sono affiorate in Rete per la mancata possibilità di riscattare i bitcoin legati alle transazioni svolte attraverso il sito . Alle lamentele è seguito un primo intervento tecnico degli admin, che hanno inserito un sistema di conteggio alla rovescia per distanziare i prelievi, meccanismo che tuttavia pare non fosse molto lineare e coerente nel suo comportamento. Alla fine alcuni moderatori pare abbiano tentato di avvisare gli utenti di alcuni strani movimenti da loro percepiti, e poi tutto è finito offline nel weekend: sulla pagina campeggia una breve nota che avvisa di un furto subito ad opera di un utente che aveva scoperto un bug e sottratto 5.400 bitcoin; ma, sebbene il messaggio dica che chi aveva ancora moneta virtuale sul proprio conto l’avrebbe presto riavuta indietro, nessuno ha ancora ricevuto nulla.
Secondo altre ricostruzioni, in realtà tutto il sito sarebbe stato messo in piedi con lo scopo finale di prendere i soldi e scappare: raggiunta una certa cifra, circa 40mila bitcoin , semplicemente chi amministrava il sito ha espropriato tutti dei loro risparmi virtuali e ha chiuso il sito con 40 milioni di dollari in più in tasca . Qualcuno addirittura sostiene che si tratterebbe di una cifra ancora superiore, che si aggirerebbe sui 95 milioni di dollari al cambio attuale , e in ogni caso a oggi non si sa che fine abbiano fatto i bitcoin frutto dei commerci su Sheep spariti nel nulla.
L’aumento della popolarità di bitcoin e dark web, conseguente all’attenzione rivolta a loro dai media, sta di fatto allargando la platea e il mercato di questo settore: più utenti significa anche più denaro in circolazione, ma anche più rischi. Black Market Reloaded , altro marketplace cresciuto dopo la chiusura di Silk Road, ha annunciato di voler chiudere i battenti almeno per un po’: il solo TOR non basta a garantire un vero anonimato agli admin, e per ora il mercatino andrà in soffitta fino ad un eventuale rilancio nel 2014. La decisione, sebbene non abbia avuto conseguenze come quelle del caso Sheep, non ha fatto felice i frequentatori che ora lamentano la distanza tra le loro aspirazioni e le valutazioni opportunistiche di chi ha creato Black Market Reloaded.
Il fenomeno deep web appare tuttavia sempre più legato a doppio filo con l’ascesa del bitcoin : la volatilità della moneta virtuale suggerisce ai meno inclini al rischio di valutare quanto sia possibile incassare oggi piuttosto che arrischiarsi nel cercare un profitto superiore in un domani incerto, ma non manca chi invece tenta investimenti a lungo termine per il “mining” di nuova valuta, o prova una strada non proprio “trasparente” per tentare di ricavare qualche spicciolo da altrui PC a loro insaputa. Una scelta quella del mining che oggi va controcorrente, visti i crescenti costi di ammortamento che l’attività di “scavare” bitcoin comporta, ma che si giustifica soprattutto in Cina con la possibilità di beneficiare di prezzi bassi sull’energia e l’opportunità di comprarla in yuan (o qualsiasi altra valuta ritenuta debole) per poi rivenderla in dollari una volta trasformata in bitcoin.
Attorno ai bitcoin si focalizza dunque l’attenzione: l’anonimato è garantito, ma è sempre possibile seguire i flussi di denaro. Il costo del mining è sempre più cospicuo, per la natura stessa del meccanismo su cui la valuta è basata, e solo chi ha investito anzitempo in (costoso) hardware dedicato si ritrova oggi a poter raccogliere i frutti della propria lungimiranza. Restano i dubbi sulla infrastruttura orizzontale e vagamente anarchica di bitcoin , senza un ente centrale a regolarne l’attività e senza – come dimostra il caso Sheep – nessuno in grado di garantire i depositi presso strutture terze . L’aumento delle quotazioni ha reso più complesso utilizzare i propri risparmi virtuali per le compravendite, e le quotazioni raggiunte non fanno altro che ribadire l’ovvio : i bitcoin sono (per ora) poco più di una speculazione, visto che è difficile pensare che davvero ci sia qualcuno disposto a sborsare mille dollari per un bitcoin, vale a dire attribuire un valore reale a quella che a tutti gli effetti resta una valuta virtuale.
Luca Annunziata