Le regole della concorrenza e quelle del progresso

Le regole della concorrenza e quelle del progresso

di Guido Scorza - Gli editori si scagliano contro il colosso della rete o contro le dinamiche di un mondo che evolve? Brevi note a margine del caso FIEG vs. Google
di Guido Scorza - Gli editori si scagliano contro il colosso della rete o contro le dinamiche di un mondo che evolve? Brevi note a margine del caso FIEG vs. Google

La notizia è ormai nota: l’Autorità Antitrust italiana ha avviato un’istruttoria nei confronti di Google per verificare se – come sostenuto dalla FIEG in una segnalazione del 26 luglio – Big G, attraverso il servizio Google News, stia abusando della propria posizione dominante e distorcendo la concorrenza nel mercato della raccolta ed intermediazione pubblicitaria online.

È circostanza nota che gli editori di giornali, da tempo, non guardino di buon occhio a Google News e, più in generale, alla Rete, ritenendoli responsabili della crisi del settore mentre stupisce – e non poco – che la FIEG, quasi a sorpresa, abbia deciso di scomodare l’Autorità antitrust per ottenere giustizia in relazione ad una questione che, a mio avviso, più che alla disciplina della concorrenza attiene alle regole non scritte che governano il tempo, la storia, il progresso tecnologico ed i mutamenti di mercato.
Ma andiamo con ordine provando a capire cosa gli editori contestano a Google e cosa l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato vuole verificare nel corso dell’istruttoria appena avviata.

La tesi dell’accusa è che Google abusi della sua indiscutibile posizione dominante nel mercato dei servizi di ricerca via Internet per influenzare a proprio favore e a danno degli editori la concorrenza nel mercato della raccolta ed intermediazione di pubblicità online.
L’Autorità nel suo provvedimento – in tutta franchezza deludente per chiarezza e capacità di approfondimento rispetto alla media elevata che generalmente caratterizza gli atti dell’Authority – sembra individuare i mercati rilevanti ai fini del procedimento appena avviato in quello della ricerca online e in quello della raccolta ed intermediazione pubblicitaria in Rete, spingendosi poi – in relazione a tale ultimo mercato – a scorporarne uno specifico segmento – quello della raccolta pubblicitaria sul “canale search” – al quale sembra attribuire grande importanza ed autonomia.

Nel provvedimento si ipotizza – in realtà utilizzando espressioni che fanno pensare più ad un “convincimento” che ad una semplice “ipotesi di lavoro” – che l’indubbia posizione dominante di Google sul versante dei servizi di ricerca online consenta, in maniera pressoché automatica, complice in particolare “la raccolta pubblicitaria di natura search” (ovvero quella relativa ai link sponsorizzati venduti da Google sulle pagine dei risultati delle ricerche lanciate dagli utenti sul motore di ricerca generalista ma non anche sulle pagine di Google News), a Big G di occupare analoga posizione dominate sul più generale mercato della raccolta ed intermediazione pubblicitaria online.
Si tratta di una conclusione che potrà essere, evidentemente, chiarita nel corso dell’istruttoria attraverso il semplice esame dei dati disaggregati relativi ai diversi canali di raccolta della pubblicità online.

Val la pena, tuttavia, segnalare sin d’ora che i dati disponibili in Rete (fonte: IAB) non sembrano supportare la tesi secondo cui la leadership di Google nel mercato della raccolta di pubblicità sul canale search gli consentirebbe di porsi in una posizione dominante nel mercato della raccolta di pubblicità online tout court, un mercato che varrà alla fine del 2009 oltre 900 milioni di euro. L’intero segmento “search” costituisce, infatti, una percentuale di circa il 30 per cento rispetto al fatturato complessivo generato dalla pubblicità online nell’ultimo anno, con l’ovvia conseguenza che dominare tale segmento non significa necessariamente dominare l’intero mercato di riferimento.

A prescindere dai numeri, tuttavia, se si tiene conto che la nozione di “posizione dominante” elaborata nella giurisprudenza antitrust europea ed italiana esige al fine del riconoscimento ad un’impresa di tale qualifica che essa si trovi in “una posizione di potenza economica… che le consente di ostacolare il mantenimento di una concorrenza effettiva sul mercato in esame, fornendo alla stessa la possibilità di comportamenti rimarcabilmente indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori (sentenze United Brands e United Brands Continental/Commissione, punto 65) appare lecito almeno dubitare che Google possa considerarsi in una simile posizione sul mercato italiano della pubblicità online.

Nell’era della convergenza mediatica c’è peraltro da chiedersi se e sino a quando avrà senso distinguere il mercato della pubblicità online da quello della pubblicità attraverso i media c.d. tradizionali (televisione, radio e giornali): la Rai è ormai sbarcata in Rete con la sua concessionaria SIPRA, le radio ed i giornali ci sono da un pezzo con le proprie concessionarie pubblicitarie che, generalmente, agiscono in regime di esclusiva e Google, o, almeno, YouTube lo guardiamo nel televisore in salotto semplicemente cambiando canale sul telecomando.

I maggiori dubbi sollevati dal provvedimento dell’Antitrust, tuttavia, non attengono alla circostanza che Google occupi o meno una posizione dominante in quello che, a torto o a ragione, l’Autorità ha individuato come mercato rilevante perché questo è un destino che nella società dell’informazione tocca ciclicamente ai precursori ed ai maggiori innovatori: prima di Google è toccato a Microsoft e prima di Microsoft era toccato ad IBM. Il punto è un altro e concerne, piuttosto, le condotte e modalità attraverso le quali Big G avrebbe abusato della propria pretesa posizione dominante.

È su questo versante che, a mio avviso, l’accusa della FIEG e le ipotesi dell’Autorità Antitrust si rivelano più fragili e sintomatiche di un preoccupante fraintendimento che rischia di portare sul banco degli imputati anziché un’impresa ed una condotta di mercato (come generalmente avviene nei procedimenti antitrust), le nuove dinamiche della diffusione delle informazioni nello spazio telematico ed il nuovo assetto del mercato che ne deriva. È questa la questione più stimolante ed affascinante della partita.

Occupare una posizione dominante, infatti, non è certamente illecito potendo anzi costituire un risultato meritorio all’esito di una leale competizione di mercato, mentre abusarne in danno dei concorrenti lo è.
L’abuso di posizione dominante – lo insegna la giurisprudenza, tra le altre, ironia della sorte, proprio in una Sentenza all’esito della quale la Corte d’Appello di Roma ha condannato la FIEG, odierna accusatrice, per aver indebitamente abusato della propria posizione dominante impedendo l’accesso a nuovi soggetti nel mercato di riferimento (cfr. C. App. Roma, 4 settembre 2006) – si ha “ogni qualvolta una impresa, approfittando di tale sua posizione, tenti di impedire o comunque di limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato”.

Attraverso quale comportamento Google avrebbe abusato della sua posizione dominante?
Le pagine del provvedimento di avvio dell’istruttoria nelle quali l’Antitrust illustra i propri sospetti circa la sussistenza di un’ipotesi di abuso di posizione dominante da parte di Big G, sono le più criptiche e meno intellegibili dell’intero documento.
A quanto è dato capire la FIEG avrebbe segnalato all’Autorità – e quest’ultima lo contesterebbe a Google – un duplice abuso. Da una parte Google manterrebbe segreti i propri algoritmi di indicizzazione e ranking e non offrirebbe agli editori altra scelta se non quella di lasciare che i propri contenuti siano trattati attraverso il servizio Google News o, piuttosto, rimossi da tutti i servizi di ricerca gestiti da Big G con conseguente importante sacrificio in termini di visitatori (segno evidente, peraltro, che i servizi di Google sono uno strumento di incremento delle visite e, dunque, di aumento del valore pubblicitario dei contenuti pubblicati dagli editori). Dall’altra Google News condurrebbe gli utenti direttamente alla pagina dell’articolo individuato saltando la home page del quotidiano online con conseguente limitazione “della capacità degli editori di valorizzare i propri spazi pubblicitari”.
Si tratta di rilievi che non convincono.

È, innanzitutto, difficile – anche solo a livello astratto – comprendere quale sia il rapporto tra le condotte denunziate dalla FIEG – lecite o illecite che siano – la disciplina antitrust ed il mercato della raccolta di pubblicità online che, secondo l’Authority, sarebbe da considerarsi rilevante nel procedimento appena avviato. A prescindere da tale profilo – che pure sorprende sia sfuggito all’Antitrust – le denunzie degli editori sembrano non corrispondenti al vero e basate su falsi problemi che poco o nulla hanno a che vedere con la disciplina del mercato.

Andiamo, ancora una volta, con ordine.
Google, in un post di ieri, ha chiarito – ma immagino lo avesse già fatto o, potuto fare, se richiesta, all’Authority senza bisogno di una lunga e costosa istruttoria – che gli editori possono sempre richiedere la rimozione dei propri contenuti dai servizi Google News senza con ciò dover rinunciare necessariamente a che i propri contenuti compaiano tra i risultati della ricerca restituiti dal motore generalista di Big G.

Certo, è la dichiarazione di una parte, ma sembra che Luca De Biase ieri abbia fatto un esperimento che ne ha confermato la veridicità.
La prima delle accuse degli editori, dunque, semplicemente non corrisponderebbe al vero.

Veniamo alla seconda. Si tratta dell’annosa – ed ormai datata – questione del deep linking, link in profondità ovvero ad una pagina successiva rispetto alla home. Mi sembra inutile, al riguardo, attardarsi a ricordare quante volte negli ultimi dieci anni la giurisprudenza abbia chiarito la legittimità di tale strumento caratteristico delle dinamiche della navigazione telematica, mentre mi sembra più utile – concernendo la questione il mercato della pubblicità – segnalare che quello sollevato dagli editori, sotto tale profilo, è un falso problema: se “per colpa di Google News” la home page di un giornale perde di valore a beneficio delle pagine sulle quali sono ospitati i singoli articoli, infatti, sarebbe sufficiente spostare da monte a valle la raccolta di pubblicità posizionandone di più sulle pagine più cliccate e meno in home page.

Tocca agli editori saper leggere i segni del cambiamento ed adeguarsi alle nuove dinamiche dell’informazione e non è certo compito di un’Autorità Antitrust rallentare il treno dei mutamenti di mercato per consentire all’imprenditore in ritardo di salirvi: questo sì, significherebbe distorcere il naturale corso degli eventi e con esso il gioco della concorrenza.

Sono considerazioni come questa che mi inducono a ritenere che quello appena iniziato sia l’ennesimo processo alla Rete piuttosto che un reale procedimento a tutela della concorrenza nel mercato dell’editoria e/o della raccolta della pubblicità online e che, per gli editori, si tratti di un modo come un altro per mettersi seduti ad un tavolo con Big G e cercare una soluzione ai propri problemi di cassa.
D’altro canto se effettivamente Google ponesse così a rischio il mercato pubblicitario telematico, perché le concessionarie pubblicitarie starebbero a guardare e gli unici a lamentarsi sarebbero gli editori? I soggetti destinati ad essere confinati ai margini di un mercato dall’imprenditore in posizione dominante sono, da sempre, i suoi diretti concorrenti: contro Microsoft c’erano – e ci sono – gli altri produttori di browser di navigazione o software di audio video riproduzione e contro IBM c’erano i produttori di software!
Non si tratta di difendere Google, ma piuttosto l’industria dei frigoriferi contro i venditori di ghiaccio che, essendo arrivati in ritardo nella riconversione dei propri modelli di business, pur di rimanere sulla piazza senza adeguarsi al tempo, alla storia ed al mercato, vorrebbero che i consumatori continuassero a conservare – almeno ancora per un po’ sin tanto che essi non fossero pronti – il cibo immerso in grosse vasche da bagno stracariche di cubetti di ghiaccio.

Guido Scorza
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
28 ago 2009
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