Le attività di intercettazione e spionaggio illegali condotte negli anni dell’Amministrazione Bush avrebbero riguardato anche redazioni di giornali, singoli giornalisti e privati cittadini statunitensi. Tutto ciò che costoro scrivevano via email o dicevano al telefono veniva registrato . A rivelarlo un ex analista della stessa National Security Agency (NSA), il corpo grosso dell’intelligence d’oltreoceano.
Russel Tice, questo il nome dell’ex funzionario al centro del caso, ha ricostruito la vicenda durante la trasmissione televisiva della MSNBC Countdown with Keith Olbermann . Nel corso delle proprie operazioni di monitoraggio anti-terroristiche, ha sostenuto Tice, NSA avrebbe allargato di molto il raggio del proprio controllo, arrivando a tracciare anche le comunicazioni di soggetti che non avevano alcun tipo di connessione con il mondo del terrore: comuni cittadini, reporter, talvolta intere redazioni.
Le attività di raccolta dati sarebbero state realizzate senza alcuna previa autorizzazione da parte delle autorità giudiziarie competenti e avrebbero riguardato ogni possibile forma di espressione da parte dei sorvegliati. Dalle mail alle telefonate, dai fax ai messaggi, tutto sarebbe stato registrato e stivato all’interno dei database.
Tice ha raccontato di aver scoperto del sistema spionistico in modo casuale, mentre era dipendente dell’agenzia. I suoi superiori gli avrebbero chiesto di operare delle indagini “preliminari” su una serie di soggetti (tra cui alcuni giornali), con lo scopo dichiarato di escludere tali soggetti dalle attività di monitoraggio vere e proprie.
Ma le attività “preliminari” sembravano durare un po’ troppo. È lo stesso informatore a spiegare: “Con il tempo mi sono reso conto che la raccolta di dati su queste organizzazioni veniva praticata ventiquattr’ore su ventiquattro per sette giorni su sette, e per tutto l’anno. E questo non aveva senso. Così mi sono messo a indagare, scoprendo la rete”.
Già nel 2005, dopo la pubblicazione di un’ inchiesta del New York Times , l’Amministrazione Bush era stata investita da uno scandalo legato all’impiego di intercettazioni illegali. I media avevano documentato l’esistenza di diversi casi in cui le autorità di sicurezza statunitensi avevano aggirato le normative- che richiedono il rilascio di un’autorizzazione da parte dei giudici- per sorvegliare le comunicazioni dei cittadini.
In risposta alle polemiche, lo stesso Presidente Bush aveva spiegato che i casi di deroga erano limitati a quelli in cui fosse documentato un “chiaro legame” tra i sorvegliati e le organizzazioni terroristiche.
Adesso le affermazioni di Tice – peraltro già coinvolto come testimone nel 2005 – sembrano suggerire l’esistenza di infrazioni ancora più gravi alle leggi sulla sorveglianza. Infrazioni tanto più impressionanti perché perpetrate in modo sistematico e quasi routinario.
E proprio qui sta, secondo diversi osservatori , il punto dirimente. Le normative vigenti offrono già agli investigatori strumenti molteplici ed efficaci per individuare e controllare i potenziali terroristi. Il problema, nella storia raccontata da Tice, è che l’amministrazione statunitense sarebbe andata ben al di là di tali paletti, spiando persone che nulla avevano a che fare con le attività criminali, e aggirando le procedure previste per legge in questo tipo di situazioni. Quale sarà la posizione della nuova amministrazione di fronte a problemi fondamentali come quelli sollevati dal caso Tice? La speranza di molti, alimentata anche dalle prese di posizione programmatiche del neopresidente, è che Obama possa imprimere un deciso cambio di direzione nel campo della tutela dei diritti individuali e della libertà di informazione. Promuovendo la trasparenza dell’amministrazione e rilanciando i principi del Freedom of Information Act.
Giovanni Arata