Le videochiamate ci stancano per quattro motivi

Le videochiamate ci stancano per quattro motivi

Videochiamate, videoconferenze, riunioni operative da remoto: la stanchezza dovuta a questo tipo di attività sarebbe ricollegata a precisi problemi.
Le videochiamate ci stancano per quattro motivi
Videochiamate, videoconferenze, riunioni operative da remoto: la stanchezza dovuta a questo tipo di attività sarebbe ricollegata a precisi problemi.

Si, troppe ore di videochiamata sono stancanti. Troppe riunioni da remoto appesantiscono le ore di lavoro e troppo tempo passato in videochat abbassa sistematicamente le nostre energie e la nostra concentrazione. Quella che prima era una semplice deduzione partorita da sensazioni condivise, ora è il frutto di uno studio firmato dai ricercatori dello Stanford Virtual Human Interaction Lab (VHIL) i quali hanno anche identificato quattro cause specifiche per questo tipo di “malessere”.

Lezioni su Meet? Riunioni su Zoom? Discussioni su Teams? Chiunque abbia vissuto queste esperienze potrà identificare in questi quattro driver delle consuetudini che, minuto dopo minuto, appesantiscono la giornata online e rendono più complesso tenere alte le proprie performance di studio o di lavoro. Quel che la ricerca ha portato avanti è una vera e propria decostruzione dell’esperienza online, analizzando ogni singolo movimento o azione che l’operazione comporta.

Troppi sguardi

Il primo problema è legato all’innaturale interazione faccia-a-faccia che, di fronte allo schermo, pone ogni interlocutore di fronte a molti volti al tempo stesso. Ciò crea un prospetto nuovo, creando maggiori ansie da prestazione e forzando all’autocontrollo: sentendosi sempre osservati, infatti, si tende a mantenere parte della concentrazione riservata all’autocontrollo, nella consapevolezza di essere visti da ognuno dei partecipanti alla videochiamata.

La bacheca con i volti crea dunque un’ansia strisciante che alla lunga si fa logorante, poiché si tende a dare priorità al controllo di sé e della propria immagine rispetto a quelli che dovrebbero invece essere i contenuti prioritari.

Selfie

Durante le chat si passa molto tempo a guardare sé stessi. Ciò nasce dal fatto che avendo una finestra aperta su di sé per poter controllare l’inquadratura, ciò aumenta il tempo in cui si guarda sé stessi mentre si parla con gli altri. Nei confronti di sé, però, si è tendenzialmente ipercritici e ciò comporta un alto tasso di stress e continui spostamenti dello sguardo dal volto altrui al proprio.

Ancora una volta, insomma, un anomalo modo di guardare alla realtà della discussione comporta un alto livello di stress di fronte al quale ancora non siamo abituati.

Mobilità

Le videochat non comportano uno spostamento in una sala riunioni, non obbligano ad un viaggio, non ci costringono a cambiare il locale nel quale stiamo operando. Sebbene questi siano vantaggi oggettivi e di grande impatto su costi e tempi del lavoro, al tempo stesso affondano la nostra mobilità naturale e con essa quella possibilità di evasione dal flusso di lavoro. Spostarsi significa ricaricare la concentrazione, significa muovere i muscoli e ridare ossigeno alla giornata. La sedentarietà è un problema, ma le videochiamate rischiano di diventare un vero e proprio elemento schiavizzante che impone paradossalmente la presenza peggio ancora di quanto non lo facesse l’abitudine da ufficio.

Overload

La comunicazione visiva è carica di comunicazioni non verbali fatte di sguardi, postura, accenni, espressioni. A questo si aggiunge quella che è l’interazione con lo strumento, l’attenzione all’inquadratura, la luminosità ambientale, lo sfondo che si utilizza. Questo sovraccarico informativo rende chiaramente più faticosa una interazione che, invece, dovrebbe essere del tutto naturale e quindi priva di qualsivoglia attrito.

Soluzioni?

Le soluzioni esistono. Nel primo caso, ad esempio, può essere sufficiente ridurre la finestra ed evitare di dare troppa importanza sullo schermo ai volti altrui: meno sguardi incrociati riducono l’ansia da prestazione. Nel secondo caso si può ridurre la visibilità del proprio volto ed aggiungere sulle piattaforme la possibilità di nasconderlo del tutto. Nel terzo caso il suggerimento è di distanziare la videocamera per consentire maggiori margini di movimento, fino a consentire il movimento nella stanza, ma anche immaginare periodi di distacco completo per favorire interazioni non-verbali. Nel quarto caso il consiglio è quello di affidarsi anche a comunicazioni solo-voce, alleggerendo così il carico di lavoro attraverso una pausa dall’eccessiva comunicazione visiva online.

Una ricerca importante, quindi, perché tratteggia i possibili interventi che i gestori delle piattaforme potranno tenere in considerazione in occasione dei prossimi update. Migliorare l’esperienza, infatti, può cambiare radicalmente il ruolo del lavoro da remoto, aumentando ulteriormente le performance ed abbassando la resistenza che si potrebbe maturare nel tempo nei confronti di queste metodologie di interazione e collaborazione.

Fonte: Stanford
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Pubblicato il
26 feb 2021
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