I paesi in via di sviluppo rischiano di essere soffocati dai rifiuti dello sviluppo: vecchi computer e componenti elettronici scartati (con il loro bagaglio di composti chimici pericolosi) stanno formando montagne di spazzatura ingestibile e pericolosa in Cina, India e in alcune nazioni Africane e del Sud America.
A portare all’attenzione pubblica il problema è stato un rapporto delle Nazioni Unite: mancare di risolvere il problema oggi significa generare un’irreparabile danno ambientale e, conseguentemente, minacciare la salute pubblica.
Secondo le statistiche stilate nel documento, d’altronde, con il passare del tempo la situazione non può che peggiorare: per esempio entro il 2020 il numero dei vecchi PC scaricati in India rischia di aumentare del 500 per cento . E in paesi come il Senegal e l’Uganda il flusso di rifiuti di vecchi PC rischia di incrementare del 4-8 per cento. Globalmente il tasso di crescita si assesta sui 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici all’anno . Solo nel 2008 negli Stati Uniti sono stati venduti oltre 150 milioni di cellulari e cercapersone , una crescita notevole rispetto ai già 90 milioni del 2003. E in dieci anni i cellulari mandati in pensione aumenteranno di 7 volte in Cina e 18 in India.
Se le richieste di apparecchi tende ad aumentare, le tecniche di smaltimento e riciclaggio non vanno di pari passo. Tali paesi, infatti, sono in molti casi favorevoli ad accogliere i vecchi apparecchi occidentali, da cui è ancora possibile estrarre materiali e metalli di valore e che possono essere riutilizzati: secondo il rapporto nelle nuovi produzioni si riciclano il 3 per cento dell’argento e dell’oro, il 13 del palladio e il 15 per cento di cobalto. Ma anche per recuperare il recuperabile, a pagare è soprattutto l’ambiente: si utilizzano estensivamente inceneritori che inquinano molto. In procedimenti non sempre efficiente.
A rischiare maggiormente per le conseguenze più immediate è la Cina (che produce da sé 2,3 tonnellate l’anno dell’e-waste, seconda solo agli USA), seguono l’India, il Brasile e il Messico. Ma presto, visti i tassi di crescita, anche le nazioni occidentali non potranno più guardare altrove.
Come spesso accade nei documenti redatti dalle Nazioni Unite, il documento contiene alcune best practice che servono a sottolineare quanto e come si possa fare per migliorare la situazione: si parla ad esempio di Bangalore, in India, dove alcune iniziative locali permettono di gestire più efficacemente il problema. Dando al contempo una mano all’economia locale. E accanto a tale suggerimento il rapporto chiede che si stabiliscano regole serie e coordinate per uno smaltimento più efficiente.
Claudio Tamburrino