Roma – L’intenzione è chiarissima: denunciare il Decreto Urbani, poi convertito in legge, in quanto costituisce una violazione del trattato istitutivo della Comunità europea nonché di ben due direttive europee in tema di “società dell’informazione”.
Così ribadisce a Punto Informatico il presidente dell’associazione NewGlobal.it , Ettore Panella, illustrando il senso di un esposto redatto dall’avvocato Gianluca Navarrini, membro del comitato scientifico dell’Associazione, un esposto che tenta, spiega Panella, di “disinnescare la legge Urbani”.
Una legge, insiste Panella, “la cui grottesca approvazione ha visto un Ministro in carica chiedere espressamente ai senatori di votare un decreto falsato da punti di esagerazione che rendono francamente iniqua e inapplicabile la legge ” e promettere la rapida approvazione di modifiche correttive.
Come ben sanno i lettori di Punto Informatico, da allora sono passati più di cinque mesi e le modifiche giacciono inascoltate sul tavolo di una Commissione che si è fin qui ben guardata dall’approvarle.
L’esposto, ha spiegato Panella, è rivolto alla Commissione Europea affinché provveda a far rispettare le direttive violate “benché le dette direttive, laddove si occupano di diritto d’autore, non siano certo migliori di quelle nazionali”.
L’occasione è ghiotta per l’associazione, da lungo tempo impegnata su questo fronte, per tentare di riaprire il dibattito in Europa sulla proprietà intellettuale “alla luce – spiega Panella a PI – dei principi enunciati nella recente Dichiarazione di Ginevra sul Futuro dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale”. La speranza di NewGlobal.it evidentemente, come sottolinea lo stesso Panella, è che il procedimento europeo stimoli il Parlamento italiano a scuotersi dal suo sonno in materia di tutela delle libertà digitali e che “la procedura di infrazione contro l’Italia, possa decadere in virtù della sollecita approvazione delle promesse modifiche della legge Urbani”.
Di seguito il testo dell’esposto presentato alla Commissione Europea.
ESPOSTO
avente ad oggetto: La violazione da parte della Repubblica Italiana del Trattato istitutivo della Comunità Europea;
della Direttiva n. 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno;
della Direttiva n. 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.
1. Con la legge 18 agosto 2000, n. 248, l’Italia ha introdotto diverse novità nel corpo della legge 22 aprile 1941, n. 633, contenente la disciplina generale della protezione del diritto d’autore e dei diritti connessi al suo esercizio (legge sul diritto d’autore: di seguito l.d.a.).
In particolare, la legge del 2000 – integrata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 luglio 2001, n. 338, recante il Regolamento di esecuzione – ha imposto l’applicazione di un contrassegno su ogni supporto contenente software, suoni, voci o immagini in movimento, destinate al commercio o alla cessione a fine di lucro. Il contrassegno (costituito in pratica da un adesivo, detto bollino) è apposto di regola dalla Società Italiana Autori ed Editori (SIAE) previa attestazione, da parte del richiedente (il produttore del supporto, ovvero l’importatore), dell’avvenuto assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi.
Caratteristica peculiare del bollino in discorso è quella di individuare esattamente l’opera dell’ingegno contrassegnata, il suo autore, il produttore ed il numero di copie immesse sul mercato (art. 181-bis, comma 5, l.d.a.). E la mancata applicazione del contrassegno, la sua contraffazione, ovvero la falsa attestazione dell’avvenuto assolvimento degli obblighi di legge, sono condotte sanzionate penalmente, rispettivamente dagli artt. 171-ter, comma 1, lettera d), e dall’art. 171-septies, lett. b), l.d.a., con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2’580 a 15’480 euro.
Sia la dottrina sia la giurisprudenza italiane hanno sottolineato che la normativa sul contrassegno è da considerarsi posta – anche nei confronti del produttore o dell’importatore – a tutela dell’autore, giacché a quest’ultimo il bollino consente di verificare presso la SIAE il numero di supporti contrassegnati ed immessi sul mercato dallo stesso produttore o importatore.
2. Con le direttive n. 2000/31/CE e n. 2001/29/CE, la Comunità europea ha inteso armonizzare le diverse normative degli Stati membri ed ha loro imposto di adeguarsi a standard omogenei in materia di “società dell’informazione”.
In entrambe le direttive richiamate, infatti, si rileva che lo sviluppo del mercato interno europeo impone di sopprimere gli ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi. Ed uno degli ostacoli principali viene individuato nella divergenza tra le normative nazionali, nonché nell’incertezza sul diritto nazionale applicabile ad attività per definizione delocalizzate come quelle che si svolgono per il tramite della rete telematica (cfr. direttiva 2000/31/CE, punti 5 e 6 del “considerando”; direttiva 2001/29/CE, punti 6 e 7 del “considerando”).
Nelle stesse direttive, inoltre, si richiamano espressamente gli articoli 43 e 49 del Trattato istitutivo della Comunità europea, che vietano – fino alla instaurazione del mercato unico interno – le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità.
Entrambe le direttive sono state recepite dalla Repubblica Italiana con i Decreti Legislativi nn. 68/2003 e 70/2003, riguardanti la riforma della legge sul diritto d’autore, il primo, e la disciplina del commercio elettronico, il secondo.
Già alla luce di tali novità normative, a sommesso parere di chi scrive, l’Italia avrebbe dovuto provvedere all’abrogazione della disciplina del contrassegno SIAE, imposto con la legge n. 248/2000, giacché con esso si erano introdotti elementi di difformità normativa – rispetto alla disciplina del diritto d’autore dettata dagli altri Stati membri – tali da opporre non piccoli ostacoli alla creazione di un mercato unico europeo. E – sempre a modesto avviso dei sottoscritti – non avrebbe pregio invocare a giustificazione della disciplina sul contrassegno SIAE il combinato disposto degli artt. 30 e 95, paragrafo 4, del Trattato istitutivo della Comunità Europea.
Le richiamate disposizioni, infatti, giustificano il mantenimento di normative nazionali difformi rispetto alle direttive di armonizzazione comunitaria, laddove ex multis ricorrano ragioni di tutela della proprietà industriale e commerciale. E, notoriamente, il diritto d’autore – pur essendo collocato nella vastissima categoria della proprietà intellettuale – non appartiene alla sistematica della proprietà industriale e commerciale, nella quale, invece, vanno collocate le cosiddette privative industriali – marchi e brevetti – ed i beni aziendali.
Alla luce di quanto detto, perciò, il contrassegno SIAE avrebbe dovuto essere prontamente eliminato dal panorama normativo italiano, al fine di omogeneizzare la disciplina interna del diritto d’autore a quella comune agli altri Stati membri.
3. Viceversa, con l’art.1, comma 1, del Decreto Legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito nella Legge 21 maggio 2004, n. 128, su impulso del Governo, l’Italia ha introdotto nel proprio ordinamento interno – in via d’urgenza – il contrassegno virtuale, con la seguente disposizione: “Al fine di promuovere la diffusione al pubblico e la fruizione per via telematica delle opere dell’ingegno e di reprimere le violazioni del diritto d’autore, l’immissione in un sistema di reti telematiche di un’opera dell’ingegno, o parte di essa, è corredata da un idoneo avviso circa l’avvenuto assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi. La comunicazione, di adeguata visibilità, contiene altresì l’indicazione delle sanzioni previste, per le specifiche violazioni, dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. Le relative modalità tecniche e i soggetti obbligati sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro delle comunicazioni, sulla base di accordi tra la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) e le associazioni delle categorie interessate. Fino all’adozione di tale decreto, l’avviso deve avere comunque caratteristiche tali da consentirne l’immediata visualizzazione”.
La denominazione di contrassegno virtuale – attribuita all’informativa obbligatoria – è dovuta alla innegabile (ma solo apparente) somiglianza al contrassegno disciplinato dall’art. 181-bis l.d.a., di cui sembrerebbe avere analoghe caratteristiche e funzioni.
Come risulta chiaramente dal comma 7, secondo inciso, dello stesso art. 1, D.L. n. 72/2004, l’omessa applicazione del contrassegno virtuale determina l’applicazione di una sanzione amministrativa compresa tra un minimo di 103 ed un massimo di 10.000 euro. Non risulta, invece, chiaro se la falsa attestazione dell’avvenuto assolvimento degli obblighi derivanti dalla legge sul diritto d’autore sia in qualche modo perseguibile penalmente, mancando ogni riferimento all’art. 171-septies, lett. b), l.d.a.
Ulteriori aspetti critici della norma sono quelli riguardanti da una parte le modalità tecniche con cui ogni opera dell’ingegno immessa in rete debba essere corredata dall’informativa, dall’altra i soggetti tenuti al rispetto del nuovo obbligo. Malgrado tali aspetti, infatti, debbano essere determinati con un separato Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano – entro tempi non meglio precisati – il testo del D.L. n. 72/2004, in attesa delle dette precisazioni, impone a tutti coloro che immettono in rete un’opera dell’ingegno l’applicazione di un contrassegno virtuale di adeguata ed immediata visibilità.
Infine, non è chiaro quale sia l’ambito territoriale di applicazione della nuova disciplina, visto che essa fa espresso riferimento alle opere dell’ingegno tutelate dalla l.d.a. italiana. E quest’ultima “si applica a tutte le opere di autori italiani, dovunque pubblicate per la prima volta”, nonché “alle opere di autori stranieri domiciliati in Italia, che siano state pubblicate per la prima volta in Italia” (art. 185 l.d.a.), fermo restando che la stessa protezione – in base ai trattati internazionali cui aderisce l’Italia – è altresì assicurata alle opere di autori stranieri pubblicate all’estero (art. 186 l.d.a.). Sul punto, poi, deve rilevarsi che l’art. 5 della Convezione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche risolve il conflitto di leggi nello spazio dando prevalenza alla legge del luogo in cui si invoca la tutela; e che l’art. 54 della legge (italiana) sul diritto internazionale privato (L. n. 218/1995) si conforma alla Convenzione di Berna, disponendo che “i beni immateriali sono regolati dalla legge dello stato di utilizzazione”.
Sembra, dunque, che alla normativa sul contrassegno virtuale debba assegnarsi una portata sostanzialmente universale, cioè non circoscritta ad attività che si svolgono sul territorio della Repubblica Italiana, ma estesa anche alle attività che – pur stabilite fuori dai confini italiani – siano in grado ci consentire l’accesso e l’uso di beni immateriali (tra i quali, sicuramente, le opere dell’ingegno) in Italia.
Le conclusioni testé attinte, sembrano trovare piena conferma nelle seguenti circostanze:
l’immissione di un’opera in Internet – fruibile anche in Italia e, dunque, soggetta alla legge italiana ex artt. 54, L. n. 218/1995, e 5 della Convenzione di Berna – può avvenire da qualsiasi posto del Globo;
la mancata specificazione dei soggetti tenuti ad assolvere l’obbligo dell’informativa determina la soggezione a tale obbligo di chiunque, da qualsiasi luogo, compia l’atto di immettere in rete un’opera dell’ingegno;
l’applicazione delle sanzioni amministrative – secondo quanto si ricava dalla lettura dell’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 – è possibile anche nei confronti di soggetti residenti o con sede all’estero.
Va, per di più, rilevato che l’immediata vigenza della normativa in discorso – unita al completo silenzio serbato sulle modalità tecniche di applicazione del contrassegno virtuale – introduce un vulnus al bene della certezza del diritto, giacché gli organi amministrativi chiamati ad accertare eventuali violazioni e ad applicare le previste sanzioni godranno di margini di discrezionalità che, francamente, appaiono eccessivi.
E deve essere sottolineato che a differenza del contrassegno SIAE di cui all’art. 181-bis l.d.a., il contrassegno virtuale introdotto in Italia dal D.L. n. 72/2004 non sembra essere neppure in grado di fornire adeguata tutela agli autori.
Mentre, infatti, il contrassegno reale rilasciato dalla SIAE impone un meccanismo che consente all’autore di verificare l’effettivo numero di copie immesse sul mercato italiano dal produttore dei supporti, il contrassegno virtuale non svolge in alcun modo tale funzione. Esso si risolve in una dichiarazione unilaterale obbligatoria per chi immette in un sistema di reti telematiche un’opera dell’ingegno o parte di essa. Le nuove disposizioni, inoltre, neppure distinguono tra l’immissione in rete di un opera da parte del titolare dei diritti di sfruttamento della stessa, dal diverso caso di immissione in rete da parte di terzi. Tutti sono (irragionevolmente) obbligati all’applicazione del contrassegno virtuale.
Come tale, pertanto, il contrassegno virtuale non sembra avere finalità di tutela dei diritti d’autore, né a favore degli autori, né a favore dei fornitori di contenuti. Anzi, questi si ritroveranno in difficoltà dinanzi ad una normativa di difficile interpretazione ed applicazione e continuamente esposti al rischio di essere colpiti da pesanti sanzioni pecuniarie.
4. Gli obblighi derivanti dalle più volte richiamate direttive comunitarie, volte all’omogeneizzazione delle normative relative alla società dell’informazione, appaiono, dunque, violati dall’Italia, per via del mantenimento dell’art. 181-bis l.d.a. sul contrassegno SIAE, nonché – ed a maggior ragione – per la recente introduzione di bel nuovo del contrassegno virtuale.
Tale ultima disciplina – posta, lo si ripete, dall’art. 1 del D.L. n. 72/2004, convertito nella L. n. 128/2004 – non introduce, come si è già detto, alcuna concreta forma di tutela azionabile dagli autori, oltre quelle già previste dalla legge, risolvendosi in una mera formalità obbligatoria per gli utenti e gli operatori della Rete. Né tale disciplina ha una qualche corrispondenza con le regole vigenti negli altri Paesi della Comunità europea, nei cui confronti si impone come misura decisamente eccentrica, di difficile (se non impossibile) applicazione e, dunque, in grado di scompaginare l’equilibrio e l’armonia normativa perseguiti con le direttive citate.
È ben noto, infatti, che, prima di adottare un qualsiasi atto normativo che introduca elementi di contrasto con le misure di armonizzazione di cui all’art. 94 del Trattato della Comunità europea, lo Stato membro deve attivare la procedura prevista dall’art. 95, paragrafo 5, dello stesso Trattato. Al contrario, il Governo italiano, nell’emanare il D.L. n. 72/2004 con procedura d’urgenza, non ha in alcun modo rispettato il Trattato. Né – va sottolineato – avrebbe mai potuto farlo, visto che l’esigenza di introdurre il contrassegno virtuale non risponde in alcun modo all’emersione di “nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro, giustificate da un problema specifico a detto Stato membro insorto dopo la misura di armonizzazione” come richiede l’art. 95, paragrafo 5, del Trattato CE.
E pare evidente che l’obbligo universale dell’informativa (contrassegno virtuale) introduca un elemento di grave distorsione del mercato comunitario interno, giacché tutti i prestatori di servizi della società dell’informazione, ancorché non stabiliti in Italia, si troveranno, di fatto, soggetti ad una legge italiana che nessun avallo ha ricevuto in sede comunitaria e che, tra l’altro, si pone in stridente contrasto con le più recenti direttive in materia di società dell’informazione.
Tutto ciò esposto e considerato, i sottoscritti, nelle rispettive qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione NewGlobal.it e di membri del Comitato Scientifico della medesima associazione,
CHIEDONO
che la Commissione Europea,
preso atto dell’emanazione da parte del Governo italiano del Decreto Legge n. 72/2004 e della sua conversione nella Legge n. 128/2004;
preso atto che la testé indicata normativa introduce elementi affatto nuovi ed eccentrici rispetto a quanto disposto dalle direttive 2000/31/CE e 2001/29/CE;
preso, altresì, atto del mantenimento dell’art. 181-bis l.d.a. e del relativo regolamento di esecuzione (d.p.c.m. n. 338/2001), pur dopo il recepimento delle richiamate direttive;
accertato che gli obblighi introdotti (in particolare, l’obbligo del contrassegno virtuale) con la nuova normativa italiana costituiscono un serio ostacolo al normale funzionamento del mercato comunitario interno;
accertato, altresì, che l’introduzione del contrassegno virtuale (a differenza della disciplina sul contrassegno reale) non costituisce in alcun modo una nuova forma di tutela dei diritti degli autori o dei fornitori di contenuti e, come tale, non rientra nell’area di applicazione dell’art. 3, paragrafo 3, della direttiva 2000/31/CE, ma impone esclusivamente un obbligo per gli operatori e gli utenti della società dell’informazione;
voglia urgentemente procedere nei confronti della Repubblica Italiana, avviando la procedura di infrazione di cui all’art. 226 del Trattato CE, al fine di adottare ogni misura necessaria a garantire il rispetto delle direttive nn. 2000/31/CE e 2001/29/CE.