Il 2 aprile dopo settimane di ordini e contrordini, illusioni e speranze, fumate nere rotte da fumate bianche, l’Assemblea Nazionale francese ha approvato , senza sostanziali modifiche, il testo del disegno di legge già approvato al senato e noto al pubblico della Rete come three strikes .
Con la Legge sulla diffusion et la protection de la création sur internet la Francia è il primo Paese in Europa ad aver sancito un principio che, da mesi, riecheggia da una costa all’altra del globo: quello secondo il quale, in nome dell’esigenza di tutelare la proprietà intellettuale, ci si può spingere a privare un cittadino della libertà di manifestare il proprio pensiero attraverso il mezzo di comunicazione per antonomasia nel secolo della Rete, un mezzo divenuto, peraltro, anche strumento irrinunciabile per l’esercizio di diritti civili e politici.
Un bravo vignettista rappresenterebbe probabilmente la vicenda consumatasi nel Parlamento francese con la sagoma di un uomo con degli spessi occhiali che lascia cadere un sacco di monete d’oro su una folla che parla, scrive, comunica e si confronta: un politico miope che in nome della tutela di interessi esclusivamente economici di pochi travolge libertà e diritti non patrimoniali di ben più alto spessore e comuni a tutti gli uomini della terra. Fuor di metafora (e di vignetta), la storia moderna domani racconterà di un parlamento che, proprio in quella nazione che fu teatro della rivoluzione francese, nel secolo della Rete ha ritenuto che un diritto patrimoniale – i cui limiti e confini, peraltro, hanno fatto registrare in modo crescente, negli ultimi anni, l’esigenza di un profondo ripensamento – dovesse prevalere sul diritto che, l’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino riconosce ad ognuno di noi stabilendo che: “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è un diritto dei più preziosi per l’uomo: quindi ogni cittadino può parlare, scrivere, stampar liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”.
Credo di non esagerare scrivendo che l’approvazione della legge francese rappresenta uno dei momenti più bui nella storia moderna del diritto perché si è lasciato che le pressioni dell’industria audiovisiva ed un pizzico di tecnofobia, ultimamente dilagante nei Palazzi della politica, privassero il legislatore di quel senso di equilibrio e responsabilità che non dovrebbe mai venir meno nell’assunzione di decisioni suscettibili di produrre cambiamenti epocali – nel bene o nel male – in relazione al futuro dell’umanità.
Sbaglieremmo, ritengo, a ridimensionare il senso di quanto accaduto ed a bollarlo come una vicenda d’oltralpe. Nell’età della globalizzazione dei mercati, tendenze ed orientamenti politici si diffondono rapidamente e nel nostro Paese, nelle ultime settimane, non sono mancati segnali inquietanti in relazione all’approccio del Palazzo alla politica dell’innovazione.
Qualcuno, come accade puntualmente, leggendo questo articolo dirà che si tratta di un’apologia della pirateria o, piuttosto, di un invito a rinunciare alla tutela dei diritti d’autore condannando così l’industria dei contenuti a morte sicura e, con essa, la cultura ad eguale destino.
Il punto, tuttavia, non è questo.
Ho già scritto che la proprietà intellettuale – almeno nei suoi principi fondamentali – costituisce un pilastro della società dell’informazione che è costituita di creatività ed idee in una percentuale elevata probabilmente quanto quella nella quale l’acqua è presente nel corpo umano (70%).
Il problema è piuttosto un altro: occorre individuare una nuova posizione di equilibrio tra l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale ed il rispetto dei diritti fondamentali di utenti e cittadini così come peraltro suggerito dal Parlamento europeo al Consiglio nella Raccomandazione dello scorso 26 marzo.
È un equilibrio che è completamente mancato in Francia dove, a sfogliare la proposta di legge appena approvata, ci si avvede che non solo si è sancita la prevalenza dell’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale sulla libertà di informazione e comunicazione, ma si è andati oltre, stabilendo addirittura – lo dice a chiare lettere quello che diventerà l’art. 331-24 della legge francese sul diritto d’autore – che ad innescare quel perverso procedimento che può condurre alla disconnessione di un utente da Internet è sufficiente la presunzione da parte dell’Alta Autorità (HADOPI) che quest’ultimo abbia posto in essere una violazione della disciplina sul diritto d’autore senza bisogno che l’illecito venga accertato in un procedimento contraddittorio. Una presunzione di violazione di un diritto patrimoniale che condanna un cittadino, nel Secolo della Rete, a fare a meno della Rete.
Ma c’è di più.
La stessa previsione, infatti, stabilisce che contro le due comunicazioni che precedono l’irrogazione della sanzione non è possibile proporre opposizione e che contro eventuali vizi di tali comunicazioni o, più semplicemente, in caso di non corrispondenza al vero dei fatti in esse rappresentati è ammessa opposizione unicamente a seguito dell’eventuale irrogazione della sanzione. Tanto per essere più chiari, l’utente che venga ingiustamente ammonito per aver violato – in ipotesi – altrui diritti d’autore non potrà, in alcun modo, sottrarsi al provvedimento né difendersi da un’ingiusta accusa ma dovrà, inesorabilmente, attendere di vedersi tagliato fuori dal mondo per poi avviare un procedimento volto a ristabilire la verità e, quindi, alla sua riabilitazione. È facile, peraltro, ipotizzare che, nella maggior parte dei casi, il procedimento si concluderà quando, ormai, la pena sarà stata espiata. A quel punto, però, nulla e nessuno potranno restituire ai cittadini ed agli utenti disconnessi per legge la libertà perduta: nella vita saranno stati, in ogni caso, uomini meno liberi di quanto avrebbero potuto e meritato di esserlo.
È probabile che la complessità degli interventi strutturali che la nuova legge richiede vengano compiuti sul versante dell’offerta dei servizi di connettività freni o rallenti l’attuazione delle disposizioni in essa contenute ma, questo, poco importa: ciò che conta, a mio avviso, è che si è introdotto nell’Ordinamento di un Paese civile uno strumento idoneo a limitare – peraltro sulla base di un sospetto – la libertà di milioni di cittadini e si è, di fatto, affidato tale strumento all’industria dell’audiovisivo alla quale, in ultima analisi, la legge francese attribuisce funzioni di stimolo e denuncia all’azione dell’HADOPI.
Non basta sperare che qualcosa del genere non accada anche in Italia ma occorre attivarsi con responsabilità e senso civile per convincere il Palazzo che una diversa posizione di equilibrio è possibile e che non servono misure censorie per garantire lo sviluppo della cultura digitale nel nostro Paese.
Guido Scorza
www.guidoscorza.it
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione