Con un provvedimento del 30 aprile, notificato lo scorso 7 maggio al Presidente Edoardo Vianello, il Prefetto di Roma ha dichiarato estinto l’IMAIE.
L’ IMAIE è – o meglio era – l’Istituto preposto alla tutela dei diritti degli Artisti Interpreti Esecutori di opere musicali, cinematografiche e audiovisive costituito dalle Federazioni dello Spettacolo di CGIL, CISL e UIL nel 1977 come libera associazione tra gli artisti interpreti e musicisti per proteggere la loro prestazione professionale e far valere il diritto all’equo compenso connesso alla riutilizzazione o alla riproduzione delle opere interpretate o eseguite in base a quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore. L’istituto era stato, successivamente, eretto in Ente Morale – espressione che, oggi, a leggere il provvedimento del Prefetto, suona infelice ed anzi quasi beffarda – con Decreto del 25 ottobre 1994.
Si tratta di una notizia da salutare con grande favore, della quale far tesoro quando nelle prossime settimane si tornerà a parlare di “equo compenso” e che dovrebbe imporre di avviare una seria riflessione e discussione sul ruolo e le funzioni delle società di intermediazione e sulle dinamiche che, nel nostro Paese, caratterizzano la circolazione delle opere dell’ingegno e la fruizione di contenuti culturali.
A leggere il provvedimento con il quale è stata dichiarata l’estinzione dell’Istituto e la relazione ad esso allegata più che chiedersi perché si sia pervenuti a tale decisione, viene da chiedersi perché si sia atteso così tanto ad assumerla. Si tratta, infatti, di quindici pagine dense di fatti, episodi, denunce, segnalazioni, procedimenti giudiziari e, soprattutto, numeri che tratteggiano il quadro di un Ente incapace di raggiungere gli scopi statutari così come rilevato dal Prefetto nelle conclusioni del proprio provvedimento.
Ma andiamo con ordine ed iniziamo proprio dai numeri, quelli contenuti nel provvedimento del Prefetto Pecoraro e quelli che emergono dai bilanci dell’Istituto e dall’ultima relazione annuale. La scintilla che ha, probabilmente, determinato il Prefetto ad assumere la decisione di sciogliere definitivamente l’Ente è stata rappresentata dall’aver trovato l’IMAIE con le mani in un barattolo di marmellata da 118 milioni di euro incassati, negli anni, a titolo di equo compenso ma mai redistribuiti alla più parte degli artisti, interpreti ed esecutori perché, a quanto pare, impossibilitato a procedervi o per poca chiarezza nelle regole che avrebbero dovuto sovrintendere alla redistribuzione o, addirittura, per la difficoltà di rintracciare coloro che avrebbero dovuto beneficiare del riparto.
Sembra, dunque, che in oltre 20 anni di attività, l’IMAIE non abbia imparato a ridistribuire i proventi della propria attività e, ciò che è più grave, che nonostante la consapevolezza di non essere in grado di procedere al riparto abbia continuato ad incassare esorbitanti importi a titolo di equo compenso. In nome di chi ed a che fine visto che doveva risultare ormai chiaro che quei soldi non sarebbero mai stati redistribuiti?
118 milioni di euro di corrispettivo di equo compenso accantonati ed in buona parte investiti – c’è da augurarsi in operazioni più sicure di quella attraverso la quale la SIAE ha perso oltre 40 milioni di euro nel crack della Lehman Brothers – e mai redistribuiti sono già abbastanza per chiedersi se non sarebbe stato, forse, meglio far a meno di esigere tali importi e lasciarli ai distributori e fruitori di cultura.
Ma i numeri che fanno riflettere non finiscono qui.
Il bilancio IMAIE al 31 dicembre 2007 – l’ultimo pubblicato sul sito dell’ente – parla di oltre 9 milioni di euro di immobilizzazioni equamente ripartite tra immobiliari e mobiliari, oltre 75 milioni investiti in azioni, depositi bancari per oltre 15 milioni e di quasi 30 milioni di euro di costi di produzione.
Secondo l’ultima relazione del Presidente sull’attività svolta, nel solo 2007 l’IMAIE ha raccolto 27 milioni di euro di equo compenso cui vanno ad aggiungersi i quasi 18 milioni raccolti tra il primo gennaio ed il 31 agosto 2008. Una montagna di soldi incassati e, ovviamente, nella più parte dei casi non distribuiti tanto che dalla stessa Relazione emerge che tra il 1° gennaio 2007 ed il 31 agosto 2008, l’IMAIE ha incassato 3 milioni e mezzo di euro di interessi bancari. Una cifra da capogiro se si pensa che l’IMAIE avrebbe dovuto prontamente redistribuire le somme incassate agli artisti, interpreti ed esecutori e, soprattutto, se si riflette sul fatto che a produrre quei capitali abbiamo contribuito tutti noi attraverso il meccanismo dell’equo compenso che, una volta di più, ha mostrato le sue debolezze e l’esigenza di un profondo ripensamento.
Ma c’è un altro dato nella relazione annuale del Presidente dell’IMAIE che fa riflettere: nell’intero 2007 i soggetti che hanno versato l’importo di quasi 30 milioni di euro di equo compenso sono stati solo 31 ovvero RAI, RTI, SKY e pochi altri. Vi sembra possibile che per incassare meno di 30 milioni di euro da 31 grandi imprese sia necessario spenderne 29 corrispondenti – stando al bilancio dell’IMAIE al 31 dicembre 2007 – ai costi di produzione dell’Istituto in relazione a tale esercizio?
Ancora un numero sul quale riflettere.
Secondo la solita relazione annuale, gli artisti, interpreti ed esecutori che avrebbero dovuto beneficiare del riparto degli importi incassati a titolo di equo compenso ed i cui indirizzi avrebbero dovuto, pertanto essere recuperati, erano, nel 2007, 58.366 di cui ne sono stati individuati solo 1613. Un risultato assai poco lusinghiero per l’attività di un ente tanto ricco e costoso e, soprattutto, per poter continuare a credere che dal pagamento dell’equo compenso dipenda davvero il futuro della creatività e della cultura nel nostro Paese. D’altra parte, nei giorni scorsi, rispondendo alle domande di una giornalista di Altroconsumo, il Presidente della SIAE aveva candidamente riconosciuto che una percentuale del 50/60% degli artisti che si iscrivono alla sezione Musica della SIAE, a fine anno, incassano meno di quanto versano per iscriversi.
Forse ce n’è abbastanza perché sorga almeno il sospetto che la strada che si sta percorrendo non sia quella corretta e che occorra cambiar qualcosa e farlo in fretta, chiedendo, magari, aiuto proprio alla tecnologia che non è solo – come sembrano pensare in troppi – un’arma nelle mani della pirateria ma, anche e soprattutto, una preziosa alleata per la gestione dei diritti sulle creazioni intellettuali nella società dell’informazione.
Attraverso un comunicato sul sito Internet, l’8 maggio, il Presidente dell’Istituto ha informato di aver dato mandato ai legali per impugnare dinanzi al TAR il provvedimento di estinzione del Prefetto, chiedendone la sospensione ed ha chiamato a raccolta gli artisti, interpreti ed esecutori perché intervengano nel ricorso per sostenere le ragioni dell’IMAE.
Francamente, numeri alla mano, non riesco a comprendere per quale ragione un artista, interprete o esecutore dovrebbe sostenere la sopravvivenza di un ente che – nato per tutelare i suoi diritti e per garantirgli l’accesso all’equo compenso – ha, sin qui, nella più parte dei casi, palesemente mancato tale obiettivo ed è stato trovato con oltre 118 milioni di euro spettanti proprio agli artisti, interpreti ed esecutori nelle proprie casse.
Credo, invece, che sarebbe opportuno che le associazioni dei consumatori e quanti hanno davvero a cuore le sorti della cultura in questo Paese intervengano nel procedimento a supporto della legittimità del provvedimento del Prefetto: se non c’è altra soluzione, si può anche accettare l’idea di dover pagare un equo compenso, ma occorre avere la certezza che ciò serva, sul serio, a garantire lo sviluppo del nostro patrimonio culturale.
Mi sembra evidente che una certezza di questo tipo, in oltre 20 anni di attività, l’IMAIE non è stata in grado di garantirla e non vedo ragioni per ritenere che, domani, sarebbe diverso.
Guido Scorza
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