Sono passati diversi anni da quando a Tunisi, nel 2005, lanciammo l’appello “Tunisi mon amour” per un Bill of Rights che, come nel 1689 per il Parlamento britannico era “un atto che dichiara i diritti e le libertà dei sudditi e definisce la successione della corona”, così anche per l’estensione dello spazio pubblico costituito dalla rete digitale una “Dichiarazione dei Diritti” può diventare un riferimento importante per le fonti giuridiche primarie e secondarie. La presentazione della “Dichiarazione dei diritti in Internet” fatta dalla Presidente Boldrini e Stefano Rodotà alla Camera dei Deputati assume un significato importante proprio perché è il frutto di una commissione istituita da un ramo del Parlamento.
Non solo l’auspicio di una miriade di singole persone, ancorché autorevoli, di ogni parte del mondo, non solo l’iniziativa di un “Advisory Committee” e di un governo che portarono a Roma delegazioni di 70 paesi a discutere di diritti nella rete, non solo una Coalizione Dinamica multistakeholder dentro l’Internet Governance Forum, nata nel 2006 su iniziativa italiana e durante il primo IGF di Atene. Non solo la firma congiunta dei governi Brasiliano e Italiano all’IGF di Rio nel 2007, cui solo il Brasile aveva dato seguito approvando il “Marco Civil” e il riconoscimento dei diritti nella rete digitale. Ora anche in questo continente un Parlamento può approvare una dichiarazione con importanti potenzialità generative.
Con grande coerenza con le ragioni iniziali non si è pensato ad una definizione di regole per quello che è un ecosistema cognitivo in costante evoluzione. L’Art.1 contiene una affermazione senza tempo, quali che siano le evoluzioni tecnologiche digitali: “Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.”. Da qui la dichiarazione dà corpo agli specifici diritti per una rete disintermediata, che non conosce la condizione di scarsità ma di condivisione, che nella sua interattività non riconosce gerarchia ma autorevolezza, che senza garanzie e consapevolezza conosce tracciabilità automatica dei naviganti, profilazione previsionale e possibile etero-definizione della loro identità digitale. Così si definiscono, in stretta relazione tra loro, il diritto all’accesso, alla non discriminazione quindi alla neutralità della infrastruttura, la tutela dei dati personali e l’autodeterminazione informativa e la conoscenza della definizione della propria identità digitale, l’inviolabilità dei propri dispositivi, la cancellazione della indicizzazione di informazioni passate che non abbiano più rilevanza pubblica. C’è il riconoscimento della Conoscenza come Bene Comune, la conoscenza in rete intesa come bene accessibile e fruibile da parte di ogni soggetto, la cui condivisione produce valore sociale ed economico, per questo “L’accesso e il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti”. Un insieme di diritti che devono essere garantiti anche dal dovere di lealtà, informazione e trasparenza, da parte dei gestori delle piattaforme digitali. Garanzie che valgono anche nel governo della rete e nelle sue regole: le istituzioni pubbliche devono riconoscere anche le forme di autoregolamentazione coerenti con la Dichiarazione dei Diritti, promuovendo il coinvolgimento di tutti gli interessati in forme che garantiscano la partecipazione diffusa al processo deliberativo, affinché l’innovazione normativa in materia di Internet sia sottoposta a valutazione di impatto sull’ecosistema digitale.
L’articolato si chiude con una forte richiesta: “La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione.”.
Ora l’auspicabile approvazione da parte della Camera dei Deputati può dare il via ad una definizione dell’Unione Europea, che già ha visto iniziative importanti di carattere parlamentari e nelle commissioni del PE. Il prossimo IGF in Brasile può quindi vedere il rilancio di una collaborazione importante tra Italia e Brasile, ora che l’Italia vuole riprendere un ruolo autorevole sui diritti e sulla governance della rete. L’istituzione parlamentare, in modo aperto, sta facendo la sua parte, ora occorre che la dimensione civile faccia altrettanto. Si potrebbe iniziare ad usare la “Citizen Initiative” dell’UE che consente ai cittadini di imporre la discussione nel PE e nella Commissione Europea di una direttiva di iniziativa popolare.
Buona continuazione.
Fiorello Cortiana