SOS analfabetismo digitale per l’Europa, che deve agire in fretta per colmare il divario nelle competenze del settore ICT. A rischio sono soprattutto le generazioni più giovani, che vogliono utilizzare la tecnologia digitale in ogni aspetto della vita e trasformare le tante opportunità offerte dal settore in una professione. Un problema che si ripropone da diversi anni ma che va affrontato in maniera collettiva dagli stati europei per trovare soluzioni condivisibili su scala globale. Almeno questo è l’auspicio del commissario continentale Androulla Vassiliou, che ha descritto problemi e preoccupazioni in una lettera inviata ai ministri dell’Istruzioni di ogni paese europeo sollecitando un immediato intervento per insegnare ai bambini competenze informatiche e di programmazione.
Non un invito, ma un dovere e al contempo una risposta contro la crescente disoccupazione giovanile collegata a doppio filo alla mancanza di competenze digitali. Che per la UE vanno sostenute e promosse poiché la programmazione è un elemento sempre più fondamentale per comprendere e muoversi in un mondo iper-connesso, senza contare che nel prossimo futuro competenze di base saranno ancor più necessarie in ogni ambito professionale. Un processo già in atto che sfocia in una forbice che invece di ridursi continua ad allargarsi, tanto che seppur in crescita da anni il numero di laureati in informatica non riesce a soddisfare la domanda di mercato finendo anzi per pesare sull’economia nazionale (nel Regno Unito la mancanza di esperti in sicurezza informatica ha lasciato via libera ai criminali, lasciando in dote un danno stimato in 27 miliardi di sterline).
Altro punto su cui insistono Vassiliou e Neelie Kroes, vicepresidente dell’Agenda digitale, è l’approccio poliedrico garantito dall’apprendimento di competenze ICT, perché oltre matematica, scienza, ingegneria e tecnologia, la programmazione consente di sviluppare doti di problem solving e creatività, agevolando pure il lavoro di squadra. Abituare i bambini a nozioni e realtà digitale significa, quindi, aumentare le probabilità di un loro futuro avvicinamento al campo informatico. “Ogni bambino dovrebbe avere l’opportunità di sviluppare competenze base di programmazione per diventare un cittadino digitale consapevole”, si legge nella nota, dove vengono elogiati paesi come Estonia e Regno Unito, che hanno avviato esperimenti pilota che introducono tecniche di programmazione già nelle scuole inferiori.
L’Italia è tra i paesi più in difficoltà sul versante digitale, col 60 per cento della popolazione che possiede conoscenze digitali basse o nulle (la media europea è del 47 per cento), con la mancanza di competenze che potrebbe tradursi in quasi 200mila posti di lavoro per consulenti e programmatori informatici entro il quinquennio 2015-2020. Altro grosso scoglio da oltrepassare sono gli stipendi per chi opera nel ramo ICT: nonostante la crescita che sfiora il 10 per cento, c’è ancora un consistente gap da colmare per dirigenti e addetti delle aziende elettroniche e informatiche.
Alessio Caprodossi