Milano – Non è la prima volta che l’Europa si pronuncia a sfavore della data retention indiscriminata, ma forse mai come questa volta le cose sono state messe perfettamente in chiaro: l’accumulo massivo di informazioni sui cittadini è da riternersi illegale , e dovrebbe limitarsi a specifici contesti e indagini che abbiano come oggetto reali e comprovate situazioni di pericolo per la società, reati e tutto quanto fa parte della sfera in cui legittimamente operano le forze dell’ordine. La Corte di Giustizia Europea non lascia spazio a dubbi: neppure il terrorismo è una scusa valida.
Il primo provvedimento nazionale che potrebbe fare le spese di questo nuovo giudizio dell’Europa è britannico : l’Investigatory Powers Act è stato appena approvato ma potrebbe finire subito in tribunale non per essere applicato, bensì per essere invalidato alla luce di quanto deciso oltremanica. L’iniziativa che ha condotto al pronunciamento della Corte di Giustizia era partita neppure a farlo apposta proprio dal Regno Unito, promossa dall’associazione Liberty, the Law Society, the Open Rights Group and Privacy International : era iniziato in un tribunale di Sua Maestà, era finito in Lussemburgo per ottenere una intepretazione in chiave europea, e ora tornerà con tutto il peso della deliberazione.
Quello che ha affermato la Corte europea è che i principi sulla data retention stabiliti a livello continentale vanno rispettati anche nei quadri legislativi nazionali: “Legislazioni che prevedano una conservazione generale e indiscriminata dei dati (…) eccedono i limiti di quanto sia strettamente necessario e non possono essere tollerati in una società democratica”. Tra le argomentazioni addotte dai promotori del procedimento c’è l’assunto che la data retention indiscriminata “tratti l’intera nazione come se fossero sospettati”, scavalcando qualsiasi approccio logico e ragionevole sul rispetto della privacy del singolo cittadino e della popolazione nel complesso .
Naturalmente gli avvocati che hanno difeso l’interpretazione del Governo UK si sono espressi in modo diametralmente opposto sulla questione: la rinuncia alla privacy e consentire il superamento dei limiti per ciò che attiene la conservazione dei dati è funzionale, in circostanze particolari, a contrastare fenomeni come quelli del terrorismo . Per questo il Regno Unito si prepara a fare ricorso contro la decisione, ma allo stesso modo ci sono le associazioni pronte a portare in tribunale l’Investigatory Powers Act per tentare di ottenere il suo annullamento da parte di un giudice.
L’Europa ha quindi mandato un chiaro segnale al Regno Unito, e a tutti i suoi stati membri, riguardo i confini della conservazione dei dati: il principio della data retention infinta, che è consentita dai moderni mezzi tecnici, non può essere accettata neppure all’interno di legislazioni promulgate in condizioni di emergenza . Con la Brexit in corso , tuttavia, non è detto che la Gran Bretagna debba attenersi alla decisione continentale: il resto dei paesi membri dell’Unione, però, dovrà tenerne conto per il presente e per quanto attiene le norme future.
Luca Annunziata