Bruxelles – Chi avesse sperato che per il controverso equo compenso fosse giunto il tramonto dovrà ricredersi. Considerato vero e proprio flagello dall’industria tecnologica, odiato dai consumatori di tutta Europea, il balzello antisviluppo rimane dov’è . È ormai ufficiale : la Commissione Europea non ha né le energie né la compattezza necessaria per pervenire ad una riforma di questa tassa, imposta da tutti i paesi dell’Unione con l’eccezione di Regno Unito e Irlanda.
Le dispute sulle competenze e le visioni divergenti dei commissari hanno fatto tramontare la grande speranza, quella di un ridimensionamento del prelievo che pesa su supporti e dispositivi, digitali e non, e che di anno in anno in molti paesi europei viene esteso a nuovi strumenti e device hi-tech. Una tassa, come noto, odiata dai produttori di tecnologia e da quelli dei supporti di riproduzione digitale ma coccolata dalle società di raccolta del diritto d’autore, come l’italiana SIAE. Il che è ovvio: in Europa secondo GESAC , che raccoglie 34 società di raccolta, l’equo compenso vale una cifra mostruosa. Raccoglie nel complesso il 5 per cento del totale delle vendite di elettronica di consumo nell’Unione. La stessa GESAC appare entusiasta del fallimento della riforma; le sue proposte, d’altra parte, vanno tutte verso il rafforzamento dei controlli su chi paga e chi non paga e sull’assicurarsi che anche chi vende via Internet paghi tutto ciò che deve pagare.
Che una riforma liberale, che vada nella direzione dei diritti dei consumatori , sia destinata a non piacere ai grandi produttori di contenuti e alle società similSIAE è dunque ovvio. Eppure, secondo le stime portate all’attenzione di Bruxelles, non più del 53 per cento di questo fiume di sesterzi sottratti a produttori e consumatori arriva agli autori delle opere stesse, un fatto che però non basta a far mettere sotto indagine l’intero sistema. Così come non tocca nessuno il fatto che moltissimi di questi supporti, gravati dalla tassa, siano usati per tutto meno che per copiarvi sopra opere dell’ingegno.
Come se non bastasse, ogni paese europeo decide per conto proprio . Vi sono paesi dove l’equo compenso è assai ridotto ed altri dove è molto più elevato. Spiega Irena Bednarich, funzionario di HP e chairman della European Imaging Association : “Sui 100 euro di una stampante multifunzione in Germania, la trattenuta è di 76,70 euro, dove la trattenuta sullo stesso prodotto in Austria è di soli 5 euro”. Difformità tra i diversi paesi, dunque, che si traducono in una vera e propria turbativa di mercato .
Cose note, già stigmatizzate dai produttori, anche da quelli italiani, che ne soffrono particolarmente: l’equo compenso è responsabile della chiusura di aziende, importatori e stabilimenti nel nostro paese perché i consumatori, soprattutto grazie ad Internet, possono rivolgersi all’estero per recuperare supporti e prodotti più economici. Ne parlava ad inizio 2007 a Punto Informatico Mario Pissetti, presidente dei produttori di supporti magnetici , che spiegava anche come l’applicazione italiana dell’equo compenso fomenti fenomeni di illegalità e lo sviluppo di un mercato grigio alimentato da importatori che aggirano la tassa per concorrere con i prezzi europei e, di fatto, mettere fuori gioco i distributori che seguono la lettera della legge e che si trovano a pagare dazi tutti italioti.
Come spiega la SIAE ( qui formato proprietario.xls), ad esempio, su un DVD registrabile da 4,7 gigabyte si applica una trattenuta di 0,87 euro e questo perché “Il compenso per copia privata si applica a tutti i supporti di registrazione vergini, analogici e digitali, dedicati (audio e video) e non dedicati comunque idonei alla registrazione di fonogrammi e videogrammi. Il compenso è costituito da un importo per supporto variabile in funzione della sua categoria e capacità. Esso va calcolato sulla capacità effettiva di registrazione – espressa in ore (o frazioni di ora) o in mega-gigabyte – così come indicata sulla confezione del supporto”.
Ci si intenda: la riforma del giochino del prelievo forzoso sull’elettronica di consumo e suoi derivati, portata avanti dal commissario al Mercato interno Charlie McCreevy, non puntava all’abolizione della tassa. McCreevy tentava di rendere tutto il processo di raccolta dell’equo compenso più trasparente , forse un passo necessario per rendere chiaro a tutti, in primis agli elettori europei, come è organizzata questa sottrazione di denaro dal loro portafogli e da quello delle imprese che operano secondo la legge. Ma neppure questa piccola riforma ha trovato la via. Perché si cambi sistema, dunque, ci vorrà tempo ed ogni singolo paese, come l’Italia, dove le proteste per l’equo compenso certo non si sono mai placate pur non trovando mai alcun accoglimento istituzionale, ha la scusa buona per evitare di rimettere mano alla questione.