L’attuale regime di tassazione per le operazioni delle grandi aziende IT sarà soggetto a un’analisi da parte della Commissione dell’Unione Europea: lo ha annunciato il commissario Algirdas Semeta , in possesso delle specifiche deleghe in materia fiscale, che per il momento chiarisce di voler rivedere l’intero apparato per valutarne l’efficacia rispetto allo attuale scenario economico. Profondamente diverso da quello in cui il fisco del Vecchio Continente è stato concepito.
“L’attuale sistema di tassazione è sato concepito in un era precedente ai computer… Non è quindi una sorpresa che spesso si trovi in contraddizione con la moderna economia digitale – ha spiegato Semeta – La tassazione non deve essere un ostacolo per tutto quanto di buono produce la rivoluzione digitale. Tuttavia, dobbiamo assicurarci che il settore digitale giochi pulito e paghi correttamente”. In altre parole, la UE ha deciso di tentare di dirimere la questione che da tempo vede su fronti opposti le dotCOM d’Oltreoceano , che si infilano nelle pieghe del fisco, e gli stati membri : entro il prossimo mese dovrebbe insediarsi un’apposita task-force che metta in campo l’esperienza di politici ed funzionari europei per disegnare un nuovo regime di tassazione comunitario da instaurare nel prossimo futuro (probabilmente dopo le elezioni del 2014).
Il tema con cui la Commissione ha deciso di confrontarsi è di quelli scivolosi: le grandi aziende della Silicon Valley (e non solo) sfuggono alla classificazione tradizionale , mancando spesso di stabilimenti di produzione e mantenendo ristrette rappresentanze nei paesi nei quali operano. Anche grazie a questa particolarità, e per via di come sono strutturate le loro operazioni, approfittano di alcune possibilità garantite da regimi fiscali favorevoli come quelli irlandesi o del Lussemburgo per concentrare la raccolta del fatturato e minimizzare i versamenti fiscali. Secondo alcuni si tratterebbe di un approccio doloso, volto a distrarre le dovute imposte nei paesi nei quali viene generato il profitto per dirottare i capitali dove la mano del fisco è più leggera.
Apple, ad esempio, è appena uscita indenne da uno scrutinio avviato dalle autorità USA su questo tipo di pratiche, ma potrebbe presto dover affrontare la decisione dell’Irlanda di rinnovare il proprio assetto fiscale: oltre a Cupertino ci sono moltissime altre aziende statunitensi che mantengono una nutrita rappresentanza e concentrano le operazioni europee in Irlanda, basti pensare ad Amazon o Intel, ma la lista è piuttosto lunga. L’Italia non è esente da questa sorta di caccia al fatturato : in Parlamento è stato presentato un pacchetto di emendamenti volto proprio a rendere più complesso e stringente il regime fiscale che riguarda le aziende IT che operino nel Belpaese.
Luca Annunziata