Non bastavano le polemiche sulle fake news , l’advertising comprato dai servizi segreti russi e le accuse di monopolio nei servizi di rete; ora Facebook deve fare i conti anche con le reprimende di chi, per aver investito i primi soldi nel futuro colosso dei social network, è diventato miliardario e ora accusa: “Facebook ci sta friggendo il cervello, e sta facendo del male soprattutto agli utenti in giovane età”.
Le nuove accuse contro Facebook arrivano infatti da Sean Parker , presidente originario della corporation, miliardario e cofondatore del primo network di file sharing della storia (Napster) che in un evento organizzato a Philadelphia parla degli inizi dell’impresa di Zuckerberg e soci. Un’ impresa progettata per imbrigliare la mente dei suoi utilizzatori .
Facebook è stato pensato fin dall’inizio per consumare quanto più tempo e attenzione cosciente degli utenti , rivela Parker, sfruttando “una vulnerabilità nella psicologia umana” per creare un “social-validation feedback loop” capace di raggiungere lo scopo indipendentemente dalla forza di volontà dei partecipanti al network.
Arrivato alle dimensioni attuali, dice ancora Parker, Facebook ha la capacità di “cambiare letteralmente la relazione con la società, la relazione di ciascuno con l’altro”, e soprattutto di modificare in chissà quali modi – molti evidentemente negativi – “la mente dei nostri bambini.”
Dopo aver guadagnato più di due miliardi con il social network, Parker dice ora di essere diventato un “obiettore coscienzioso” e di essere piuttosto interessato alla ricerca sul cancro o altre attività filantropiche del genere.
Di certo la posizione critica di Parker rispetto al social networking – e a Facebook in particolare – non è isolata , nell’ambito della Silicon Valley e della società civile americana; altri pezzi da novanta e dipendenti del Facebook delle origini dicono ora di sentirsi “colpevoli” per tutto il male che la corporation ha portato, sta portando e porterà alle relazioni sociali lontano dallo schermo.
Vista dall’interno di Facebook, invece, la soluzione contro i danni della “socialità” virtuale sembra essere un coinvolgimento sempre maggiore dell’azienda nelle esigenze concrete delle comunità. La nuova iniziativa in tal senso si chiama Community Boost , e vuole fornire le competenze digitali necessarie a “tirare fuori il meglio da Internet” a persone in cerca di lavoro, piccole imprese e startup. Il servizio sarà disponibile nel 2018 per 30 città americane.
Alfonso Maruccia