“Internet è un mondo favoloso, ma ha bisogno di regole, se in futuro si vorrà continuare a godere di musica, cinema e videogiochi”: sono parole di Michel Thiolliere, senatore francese nominato membro dell’ Haute Autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur Internet (HADOPI), l’istituzione che si dovrà occupare di tramutare la dottrina Sarkozy in una macchina antipirateria armata dei controllo dei netizen, di avvertimenti deterrenti nei confronti del cittadino colto a violare il copyright, di disconnessioni volte a dissuadere i più recidivi.
È con un decreto emanato il 23 dicembre scorso che l’Autorità ha assunto i nove volti che compongono il collège : in carica per sei anni e non oltre, i suoi membri avranno il compito di definire i dettagli dell’entrata in vigore della legge. L’autorità vanta fra i suoi membri elementi delle precedenti Commissioni istituite per la legge DADVSI , degli organismi preposti alla mediazione fra i detentori dei diritti e gli operatori della rete presso il ministero della Cultura, relatori della stessa legge HADOPI e ferventi sostenitori dell’antipirateria come Jean Berbinau, che negli scorsi mesi propose di estendere il monitoraggio anche ai siti dedicati allo streaming dei contenuti.
Non si tratta solo di amministrare denari, gestire il personale, e stilare linee guida di comportamento nell’applicazione dei principi di avvertimento e disconnessione che la Francia ha adottato per contrastare la pirateria mediata dalla rete, si spiega in un altro decreto. Il collegio si occuperà anche di sciogliere questioni tecniche come quella relativa alla certificazione dei software di filtraggio che i cittadini della rete dovranno adottare per mettere al sicuro la propria connessione: poiché l’abbonato è tenuto a vigilare su tutti coloro che si abbeverano alla connettività da lui acquistata, poiché sull’abbonato ricade la responsabilità per tutto ciò che viene compiuto attraverso la sua connessione, dovrà dotarsi di opportune soluzioni tecniche che il Collegio dell’HADOPI provvederà a imbollinare come adatte allo scopo.
E se in Francia le prime notifiche di riscontrata violazione del diritto d’autore potrebbero abbattersi sui cittadini della rete già nei prossimi mesi , al di là della Manica prosegue il dibattito relativo all’incardinamento del Digital Economy Bill nel quadro normativo e nel complesso gioco di forze tra operatori della rete, detentori dei diritti e netizen britannici. La proposta di legge, con la quale si intende soffocare il file sharing illegale con l’avvento di misure tecniche somministrate dai provider e con un sistema di avvertimenti e disconnessioni ricalcato sul modello francese, avrebbe dei costi di gestione più imponenti di quanto l’industria della musica lamenta di non guadagnare ogni anno a causa della pirateria mediata dalla rete.
500 milioni di sterline , oltre 800 milioni di euro: questo il valore del conto iniziale stimato dalle autorità britanniche. Un prezzo che ricadrà sui cittadini della rete, sui quali i provider riverseranno con ogni probabilità i costi che saranno costretti a sostenere per implementare il sistema di avvertimenti e le misure tecniche per rallentare le connessioni che saranno messi in atto nel tentativo di contenere gli appetiti dei condivisori più impenitenti. Lo stato calcola che l’avvento della legge antipirateria si tradurrà nei prossimi 10 anni in vendite per l’industria dei contenuti che lieviteranno di 1,7 miliardi di sterline e in un gruzzolo di 350 milioni di sterline in più che entreranno nelle casse dello stato sotto forma di imposte, ma traccia anche un altro tipo di stima. La sola campagna di avvertimenti distribuiti a coloro che vengano colti a violare il diritto d’autore in rete costerà agli utenti degli ISP 1,40 sterline in più per abbonamento: quanto basta, calcolano le istituzioni britanniche, per spingere 40mila cittadini della rete a rescindere il proprio contratto con il provider. Non è dato sapere a quanto possano aumentare le defezioni qualora la dottrina Sarkozy britannica dovesse concretizzarsi, come suggeriscono invece i provider, in un aumento annuale degli abbonamenti broad band pari a 25 sterline.
Se gli ISP del Regno Unito non smettono di rumoreggiare denunciando come sia ingiusto costringere i netizen al sostentamento di un’industria dei contenuti che non sembra in grado di reinventarsi per mettere a frutto le potenzialità della rete, c’è chi, rappresentante dell’industria della musica, punta il dito contro ISP che della pirateria farebbero un business. L’ invettiva echeggia dalle pagine del New York Times , la firma è quella di Bono Vox, leader degli U2. Come già in passato , Bono denuncia un atteggiamento parassitario dei fornitori di connettività : complice un inesorabile allargamento della banda, complice l’atteggiamento di coloro che si aspettano la gratuità dei contenuti, il file sharing non smetterà di dilagare e di rimpinguare le tasche di ISP a scapito dei creativi che alimentano il mercato della musica. La grande muraglia digitale cinese e le tecniche di contrasto alla pedopornografia in rete, intesse dei paragoni il frontman della band irlandese, dimostrano come sia possibile tracciare i contenuti che solcano il network: i provider non dovrebbero accampare scuse. “Il prossimo Cole Porter – lancia l’allarme Bono – potrebbe già essere stato relegato a comporre jingle”.
Gaia Bottà