L’eterna ricerca della tecnologia che sostituirà la carta al momento non vede una possibile soluzione. Si tornerà pertanto a scuola anche per questa nuova annata senza che nulla possa cambiare, né debba cambiare, poiché ancora il dilemma non è stato sciolto: è possibile sostituire i libri cartacei con libri in altra forma? Libri o ebook, insomma?
Dopo anni di riflessione sul tema appare ormai chiaro come, semplicemente, la domanda sia mal posta. E questo per una serie di motivi:
- gli ebook, i maggiori candidati alla sostituzione del libro di carta, non sono una alternativa, ma semmai una forma parallela: carta e superfici elettroniche sono pertanto differenti forme della medesima sostanza, ossia il libro. E di qui occorre partire.
- per capire quale soluzione sia migliore occorrerebbe anzitutto tracciare gli obiettivi da perseguire: quali sono le caratteristiche che rendono vincente l’una o l’altra categoria? I costi di accesso sono o meno una variante discriminante?
La realtà è che, sebbene ebook e ereader abbiano avuto una forte crescita (poi arenatasi di fronte ad una incapacità strutturale di imporsi come strumento principale di lettura), la loro natura non ha al momento caratteristiche tali da poterli ipotizzare come elemento principale per insegnamento e apprendimento. Non si arriva però a tale conclusione senza aver tenuto in considerazione ogni singolo aspetto del confronto tra le due dimensioni (cartacea e non) del libro e solo una disamina approfondita consente oggi di capire quale possa essere la scelta da effettuare e quale potrà essere in futuro il percorso di sviluppo che la tecnologia dovrà intraprendere.
I dati, nel frattempo, rimangono sconfortanti: i libri hanno versioni digitali imposte per legge (cd. “Decreto libri digitali“), ma l’adozione è a livelli minimi. L’innovazione per legge, come sempre, non funziona e nemmeno compie passi avanti per essere immaginata, progettata ed eventualmente adottata. Prima di riempire i programmi elettorali di solenni promesse, quindi, occorre tentare di capire il problema da vicino, affinché le opportunità di apprendimento di domani non possano essere zavorrate dalla superficialità programmatica di oggi.
I problemi degli ebook
Un primo problema è legato alle modalità di lettura. L’ebook è infatti un oggetto immateriale a cui si può avere accesso tramite una varietà di strumenti: dal reader allo smartphone, dal tablet al pc. L’ipotesi di adozione degli ebook a scuola dovrebbe pertanto anzitutto partire dalla scelta dello strumento da adottare e, in tal caso, tutta una serie di prescrizioni fondamentali: pollici dello schermo, formato del file, store di acquisto, funzioni attivabili sul dispositivo, eccetera. Lo strumento è elemento essenziale dell’esperienza, rischia addirittura di diventarne protagonista, e non si può pertanto riflettere sul testo senza immaginare il contesto entro cui sarà fruito.
Un secondo problema è legato al display, poiché ogni strumento informatico ha una sostanziale differenza rispetto alla carta: la luce emessa, infatti, è molto differente da quella dello strumento cartaceo. In questa riflessione intervengono aspetti quale l’illuminazione ambientale ed i grandi passi avanti che i display hanno fatto negli ultimi anni per rendere quanto più naturale l’approccio dell’occhio al testo. Per “naturale”, però, si intende “simile alla carta”, il che denota ancora una volta come la carta era e rimanga uno standard fondamentale e inattaccabile.
Un terzo problema è legato alla sensazione tattile ed all’insieme degli stimoli visivi che consente, sulla carta, di comprendere a che punto si sia giunti. Tali stimoli sono pressoché assenti su supporto informatico, ove tutto si riduce ad una superficie bidimensionale. Ciò ha due ordini di conseguenze: in primis è più complesso giungere ad un punto esatto di un libro, che non sarà raggiunto sfogliando, ma tramite ricerca (senza dunque avere consapevolezza del punto di avanzamento, ma accedendo ad un punto X senza riferimenti che comunichino istintivamente un ordine); tale riflessione si estende inoltre alla carenza degli indicatori di un ordine sequenziale delle cose. La sequenzialità è fondamentale poiché, nei metodi di apprendimento e di narrazione basati sulla carta, rappresenta il cardine su cui è formattato il passaggio di informazioni: c’è un “prima” e c’è un “poi”, spesso e volentieri identificati come causa ed effetto. Non che la carta non avesse i suoi limiti, e ciò spiega perché la mancanza di sequenzialità non possa essere de facto un difetto, ma cambiare strumenti dovrebbe pertanto significare anche nuovi sistemi di insegnamento e apprendimento.
Un quarto problema è legato alla lettura in sé, che sulla carta è spesso totalizzante mentre sui dispositivi informatici potrebbe essere disturbata da una molteplicità di stimoli differenti. La capacità di concentrazione è oggi una delle più gravi carenze nelle nuove generazioni, abituate ad operazioni multiple in contemporanea ed alla gestione di più sollecitazioni, notifiche e stimoli. La carta è in tal senso un piatto della bilancia fondamentale, il cui peso va calibrato con grande serietà per evitare pericolosi disequilibri.
Un quinto problema è quello legato alle tipologie di interazione: laddove prima si sottolineava e appuntava a margine, oggi mancano ancora tecnologie di piena efficienza. Migliorano però i display, migliora l’autonomia dei device, migliora la sensibilità dei pennini e il gap è a questo punto quasi completo. A mancare è invece l’abitudine, la capacità di sfruttare tali opportunità con velocità ed efficienza: nulla che non si possa risolvere nel giro di una generazione.
Un sesto problema è legato all’apprendimento come capacità di comprendere la complessità. L’attuale “impazienza cognitiva”, conseguenza delle modalità di lettura a cui i ragazzi si abituano nell’interazione con i media digitali, impone una serie di effetti collaterali quali l’incapacità di porsi in modo critico di fronte ad un concetto, riducendo le capacità di interiorizzare e senza avere mai il tempo necessario per arrivare ad apprendere realmente. Si tratta di un approccio superficiale strettamente legato alla velocità, tale da portare ad una difficoltà nella comprensione dei testi (e per logica conseguenza l’incapacità ad interiorizzarne i concetti). La stessa lettura è mutata: ricerche della San Jose State University indicano come oggi l’occhio tenda a seguire la prima frase di un testo per poi scorrere rapidamente alle parole successive cercando di estrapolare il significato a partire da poche parole catturate scorrendo il testo rapidamente.
A tal proposito il suggerimento che giunge dai ricercatori non è quello di tentare di invertire una direzione ormai incontrovertibile. Semmai occorre oggi immaginare una nuova letteratura pedagogica e, al tempo stesso, nuove tecniche di potenziamento delle “capacità di elaborazione” dell’intelletto. Occorre potenziare l’hardware e riscrivere i database, insomma, perché gli algoritmi sono mutati. Per sempre.
La domanda sbagliata
Insomma, non è possibile immaginare una scuola basata sugli ebook se non a seguito di una profonda revisione dei metodi di insegnamento. Anche la sola adozione deve essere finalizzata e circostanziata, altrimenti sarebbe una innovazione fine a sé stessa. I libri interattivi sono realmente necessari? I libri elettronici sono adeguati per l’uso in un contesto scolastico? I risparmi in termini di costo, la maggior leggerezza e il minor ingombro sono aspetti realmente utili alla comprensione del fenomeno?
La scelta tra libri cartacei e ebook è un dilemma che in realtà non si pone. Il problema non è infatti questo, quanto il futuro della scuola e la capacità di coinvolgere al meglio gli studenti per arrivare a tecniche di insegnamento quanto migliori possibili. La carta non è la migliore delle tecnologie, ma è quella su cui la scuola attuale è stata progettata: se si intendono migliorare le capacità di apprendimento, occorre cambiare metodi e supporti, sistemi di accesso alle informazioni e l’organizzazione delle stesse.
Per avere le giuste risposte occorre porsi le giuste domande: la scelta tra il libro e l’ebook, ad esempio, non lo è.