Il tracciamento dei dispositivi mobile sembra destinato a rimanere un argomento caldo: dopo il file trovato sui dispositivi Apple, le voci di comportamenti simili rinfacciati a Android e Windows Phone 7 e le giustificazioni/smentite dei vertici di Cupertino , ora è Google, sul malgrado, a mantenere viva la notizia. Gli osservatori la tirano nuovamente in ballo con una lettera e un memo risalenti a un anno fa; mentre i consumatori statunitensi depositano una denuncia (che cerca lo status di class action) nei suoi confronti.
Dopo le denunce per Apple , ora due utenti di Android di Detroit, Julie Brown e Kayla Molaski, hanno depositato una richiesta di class action nei confronti di Google per la raccolta di informazioni geolocalizzate legate a codici identificativi dei singoli apparecchi e in forma non cifrata: atto che costituirebbe una violazione della loro privacy.
Anche il fatto che tale forma di tracciamento si attivi con un sistema opt-in non invaliderebbe la causa . Si legge infatti in essa che “un consumatore ragionevolmente attento tende a non capire che la politica di Google in materia di privacy avrebbe portato questa forma estensiva di tracciamento”.
La class action, di conseguenza, chiede l’interruzione del comportamento, avvisi più chiari al momento dell’opt-in e risarcimenti pari a 50 milioni di dollari .
In una lettera inviata ormai un anno fa al congressman Henry Waxman, inoltre, si legge che per Mountain View i dati relativi alle reti WiFi e ai ripetitori sono utili per meglio triangolare la posizione dello smartphone e dunque fornire al meglio servizi location-based come Google Maps o l’advertising localizzato.
“Informazioni sulle reti WiFi aiutano a rendere più precisi i servizi geolocalizzati che Google offre agli utenti – si legge – dal momento che il GPS o i ripetitori da soli possono essere inaccurati”.
Di conseguenza le informazioni ricevute da queste reti sono diventate di particolare importanza man mano che i servizi basati sui dati di geolocalizzazione prendevano piede e così la loro raccolta via dispositivi mobile, soprattutto una volta che Google si è trovata al centro di critiche internazionali per gli stessi dati raccolti dalla macchine attive per Street View .
In alcuni memo inviati a Larry Page, invece, il responsabile dei prodotti e dei servizi localizzati Steve Lee dice di “non riuscire a sottolineare quanto siano importanti per Google i database con le localizzazioni WiFi per Android e la strategia relativa ai prodotti mobile”, aggiungendo di aver bisogno di raccogliere le informazioni relative alle reti WiFi per mantenere e migliorare i servizi relativi alla geolocalizzazione.
L’occasione in cui il responsabile si premurava di sottolineare tali fattori a Page coincide con l’episodio che ha dato origine alla vicenda che vede Skyhook Wireless, azienda che fornisce servizi di geolocalizzazione, denunciare Mountain View per violazione di proprietà intellettuale e per aver sfruttato Android per imporre la propria tecnologia a discapito della concorrenza. In quell’occasione , infatti, Motorola aveva pensato di passare dai servizi Google Location Service a quelli omologhi offerti da SkyHook.
Già ad ottobre scorso , peraltro, un rapporto del commissario canadese per la privacy, Jennifer Stoddart, puntava il dito contro la pratica di raccolta dati intrapresa da Google non solo con le macchine di Street View (per cui nel frattempo era giunto il garage), ma anche attraverso i dispositivi mobile: “I miglioramenti nella tecnologia degli smartphone – si legge nel rapporto – ha permesso a BigG di ottenere i dati utili a tale scopo attraverso gli stessi telefoni”.
Da tempo, insomma, si parlava dei rischi del tracciamento via dispositivi mobile. Certamente, tuttavia, il caso è esploso in tutta la sua portata generalista solo con la “scoperta” del file consolidated.db contenente un anno di dati di localizzazione dell’utente: talmente palese nella propria non proporzionalità rispetto agli obiettivi dei servizi che supporta da rendere logico accettare la giustificazione di Apple che si tratti semplicemente di un bug che presto verrà corretto.
Claudio Tamburrino