857 siti, per i 300 milioni di cittadini della Rete indiani, si mostrano ora non raggiungibili o sostituiti da un messaggio che segnala come il dominio sia stato bloccato dall’autorità competente, per mano del fornitore di connettività: si tratta di siti principalmente pornografici, ma una lista pubblicata online dagli attivisti del Centre for Internet and Society mostra come il bando investa anche servizi di dating e piattaforme come LiveLeak, siti come CollegeHumor e 9Gag e snodi torrent come Kickass.to. Il Ministero delle Telecomunicazioni indiano mostra un orientamento confuso: non si tratta di un blocco destinato ai cittadini che tentano di visualizzare il materiale, violerebbe la Costituzione, ma mira a colpire gli operatori dei siti che creano minacce all’ordine pubblico e operano quindi nell’illegalità.
L’ordine di rendere inaccessibili i siti è stato diramato dal governo il 31 luglio e i fornitori di connettività hanno iniziato ad adeguarsi nei giorni successivi: i contenuti ospitati sui siti investiti dall’ordinanza, secondo le autorità indiane, non rispettano i principi di moralità dettati dallo stato , diffondono “istanze anti-sociali” e per questo motivo possono essere ritenuti legali .
L’India aveva già chiesto collaborazione lo scorso anno agli operatori della Rete, invitati a stilare una lista di siti da rendere inaccessibili: gli operatori, però, avevano opposto resistenza, dubitando del fatto che il quadro normativo ammettesse che dei privati stabilissero cosa fosse inadeguato per i cittadini, e se fosse davvero illegale fruire di materiale pornografico in ambito privato. La giustizia indiana, in tempi recenti, ha avuto occasione di pronunciarsi sulla questione: lo scorso mese di luglio la Corte Suprema indiana, pur respingendo la richiesta di mettere al bando la pornografia online poiché non è possibile comprimere il diritto alla libertà personale del cittadino , aveva invitato il governo a meditare su le misure alternative per contenere quello che è ritenuto un problema “serio”, soprattutto se legato alla pedopornografia.
Poiché la magistratura non dispone del potere di castrare in blocco tutto il porno della Rete, il Ministero delle Telecomunicazioni ha sfoderato le proprie armi , interpretando così l’invito all’azione della Corte Suprema: l’ordinanza è temporanea e naturalmente circostanziata , e sa rispettare le libertà dei cittadini abbastanza informati per guadagnarsela . Il Ministero ha infatti curiosamente ammesso la non completa efficacia del provvedimento di blocco, chiamandola in causa proprio per legittimare l’adozione del provvedimento: “La magistratura ha sottolineato che il libero accesso a questi siti debba essere controllato – ha spiegato un portavoce al Financial Times – ma questi siti continueranno af essere accessibili attraverso il meccanismo di una VPN”.
Gaia Bottà