L'India vuole salvare lo Yoga dai brevetti

L'India vuole salvare lo Yoga dai brevetti

L'antica disciplina rischia di finire in mano a squali occidentali: per evitarlo Nuova Delhi lancia una task force anti-brevetto. Al centro database e digitalizzazione documentale
L'antica disciplina rischia di finire in mano a squali occidentali: per evitarlo Nuova Delhi lancia una task force anti-brevetto. Al centro database e digitalizzazione documentale

Nuova Delhi – L’India ha istituito una task force per proteggere lo Yoga dai brevetti. Secondo lo U.S. Patent and Trademark Office, sull’insieme delle tecniche che dovrebbero “consentire il congiungimento del corpo, della mente e dell’anima con Dio” gravano negli USA già la bellezza di circa 150 rivendicazioni di copyright, 134 brevetti di accessori e 2315 marchi . Insomma, un’ombra lunga di proprietà intellettuali che Suketu Mehta , autore di “Maximum City: Bombay Lost and Found”, considera senza senso.

Il suo recente editoriale pubblicato dall’ Herald Tribune , ironizza proprio sul fatto che il popolo indiano non si sia mai reso conto di stare seduto su un tesoro che ogni anno genera negli Stati Uniti 3 miliardi di dollari . “È incredibile per la maggior parte degli indiani sapere che qualcuno possa fare così tanti soldi con l’insegnamento di una conoscenza che non si crede acquistabile o alienabile come le salsicce”, ha sottolineato Metha.

La priorità per il Governo di Nuova Delhi è ora catalogare l’intera Conoscenza tradizionale , inclusi i rimedi ayurvedici e le centinaia di posizioni Yoga , per realizzare un documento digitale in cinque lingue di facile consultazione. In questo modo gli uffici brevetti di tutto il mondo non rischierebbero di cadere nella trappola dei “brevettatori” estremi.

“La conoscenza nell’antichità era protetta della Caste e non dagli ambiti economici o legali. Il temine proprietà intellettuale era un ossimoro. L’intelletto non poteva essere la proprietà di qualcuno. Forse è per questo che gli indiani non si sentono obbligati a pagare per la conoscenza”, ha spiegato lo scrittore indiano. “Le copie pirata del mio libro sono vendute liberamente sulle strate di Bombay a un quarto del prezzo ufficiale”.

Insomma, la copia illegale parrebbe tollerabile ma non l’appropriazione intellettuale . La saggezza indiana non ha prezzo. E se si considera che molti farmaci occidentali sono il frutto di rimedi naturali noti da millenni i conti, forse, non tornano. L’India, fino a poco tempo fa, era il principale produttore di farmaci low-cost tra i paesi in via di sviluppo, ma dopo l’adesione alle normative sul copyright del World Trade Organization questo canale di attività è stato pressoché interrotto.

“Se la riproduzione delle medicine occidentali è illegale, dovrebbe essere lo stesso per i tentativi di brevettare lo Yoga. Si tratta di pirateria intellettuale, in verticale”, ha concluso Mehta.

Dario d’Elia

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Pubblicato il
10 mag 2007
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