L’informazione mainstream si sta avvicinando al punto di non ritorno. Dopo anni di vendite a precipizio, infatti, era nel digitale che si immaginava la svolta, come se cambiare semplicemente il canale di pubblicazione potesse rinverdire i fasti del “quarto potere” rilanciandolo sia in ottica economica, che di reputazione. I dati, tuttavia, mettono in chiaro un’evidenza del tutto contraria: mentre le copie cartacee continuano a crollare, il digitale non solo non funge da contrappeso, ma volge anch’esso al ribasso. A fine 2023 ben 10 quotidiani su 16 vendono meno copie digitali rispetto all’anno precedente: invece di crescere, si perdono decine di migliaia di abbonamenti, a dimostrazione dello scarso valore aggiunto percepito da questo tipo di investimento.
Se è chiaro come l’informazione debba essere un pilastro delle democrazie, sebbene non sempre questo assunto sembra poter essere dimostrato nei fatti, è altrettanto vero che i dati dicono che le democrazie si basano pertanto su basi sempre più fragili. La sensazione è che l’accesso alle informazioni sia oggi talmente ampio che si fatica a fare selezione, ma al tempo stesso non si riconosce più nell’editoria quel ruolo di faro che dovrebbe avere nel dirimere i flussi informativi e nel mettere in luce le notizie realmente importanti. Questo implica una conseguenza semplice: non si investe più in giornalismo e si assiste inermi al suo tracollo.
Digitale? Non basta
Molto interessanti, pertanto, le rilevazioni Datamediahub, poiché consentono di leggere la situazione con la semplice e trasparente forza dei numeri. I tre quotidiani che subiscono il tracollo maggiore nell’ultimo anno sono Resto del Carlino (-58%), La Verità (-51%) e Gazzetta dello Sport (-23%, che arriva addirittura a -36,6% su base biennale). Negli ultimi due anni il tracollo è pressoché fattore condiviso, con La Stampa che cede il 21,8%, Fatto Quotidiano che perde il 17% e Sole 24 Ore che perde il 2,8% limitando sostanzialmente i danni rispetto ad ogni altra testata.
Stabile anche il Corriere della Sera, più volte criticato per le novità imposte al proprio sito negli anni passati in occasione dell’introduzione del paywall, ma uscito vincitore da questa svolta nel confronto con le principali testate rivali.
Il Corriere della Sera è il quotidiano che ha venduto il maggior numero di copie digitali, 42.323. È anche uno dei pochi quotidiani che presenta un trend positivo delle vendite di copie digitali rispetto a novembre 2022.
Repubblica, che vendeva più copie digitali del Corriere della Sera a novembre 2021, ora vende 20mila copie in meno del giornale di Via Solferino. In calo del 14.7% rispetto a novembre 2022, e al – 40.7% in confronto a novembre 2021. Nessuno dei quotidiani da noi presi in considerazione perde così tante copie.
[S]Profondo rosso anche per quello che si definisce come “il primo quotidiano digitale”, Affari Italiani, e per Il Giornale. Del resto che Sallusti e Feltri non fossero esattamente degli esperti di online/digitale era noto a tutti, e immaginiamo anche ad Angelucci che li ha nominati, rispettivamente direttore responsabile e direttore editoriale a settembre 2023. Evidentemente gli interessi sono su altri fronti.
Negli ultimi 4 anni sono state chiuse oltre 2700 edicole ed il 25% dei comuni ormai non ne ha più alcuna: è questa la conseguenza di un mercato cartaceo i cui destini sono ormai segnati. Al contempo, il mercato dell’informazione in digitale sembra non decollare: i paywall non soddisfano, le visite e l’advertising non trovano dinamiche virtuose ed il mondo del giornalismo resta così imprigionato in una logica editoriale che insegue sempre di più la curiosità e sempre di meno la notizia. Non ci si stupisca se polemica, influencer e polarizzazione definiscono l’attuale panorama informativo italiano, corroborato da dinamiche social che moltiplicano gli effetti nefasti di questa china.
Quando subentreranno nuove generazioni alla guida delle testate digitali che dovrebbero guidare il mercato dell’informazione? Quando ci sarà un auspicato cambio della guardia sul quale misurare professionisti nati qualche decennio dopo gli attuali direttori che continuano ad alternarsi alla guida delle maggiori testate? Quando coraggio ed imprenditoria troveranno finalmente modo di collaborare per cercare una svolta ed una nuova chiave di lettura?
Interrogativi leciti poiché scritti sui freddi numeri di un tracollo: se anche il digitale non sa bilanciare la caduta dell’editoria cartacea, quale futuro può avere l’informazione?