Roma – In data 25 febbraio il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, ha emanato una sentenza che si pone in modo piuttosto autonomo nel panorama giurisprudenziale relativamente alla responsabilità dei server provider in merito al contenuto illecito del sito gestito da terzi e dagli stessi ospitato. Nei fatti, il Tribunale si è trovato a dover stabilire in merito alla corresponsabilità penale del server provider laddove aveva pubblicato sul proprio sito un link ad un altro sito contenente materiale pedo-pornografico, vedendosi così contestare la distribuzione, divulgazione e pubblicizzazione a mezzo del sito incriminato di 5 filmati pedo-pornografici e 14 immagini pedo-pornografiche.
Il precedente orientamento dottrinale ha sino ad oggi ricondotto la responsabilità del server provider o a titolo omissivo (reato configurabile qualora lo stesso abbia omesso di impedire che i reati fossero realizzati dagli autori dei contenuti illeciti diffusi mediante la rete) o a titolo di responsabilità commissiva (concorrendo attivamente alla commissione dei reati contestati).
Premesso ciò, il Tribunale ha dovuto determinare ancora una volta, se i proprietari delle infrastrutture di telecomunicazioni (ovvero i network provider), i fornitori di accessi (gli access provider) ed i fornitori di servizi (i service provider) possono, per il solo fatto di fornire delle infrastrutture, essere ritenuti corresponsabili della distribuzione, divulgazione, pubblicizzazione e cessione a terzi del materiale pedo-pornografico (tutte condotte citate nella legge n. 269/98 in materia di sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale a danno dei minori), dovendo pertanto rispondere per fatto illecito altrui.
Secondo il Tribunale, i due presupposti essenziali affinché si possa configurare una responsabilità a titolo omissivo (penalmente riconosciuta solo laddove vi sia un obbligo giuridico di impedimento a carico del server provider) sono la titolarità da parte del server provider di una posizione di garanzia (cioè di controllo per la neutralizzazione o la preservazione dai rischi) ed il contemporaneo potere di controllo preventivo sul contenuto del sito.
In merito alla prima questione, è stata esclusa la posizione di garanzia in quanto niente dice il legislatore in modo espresso in tal senso, non potendosi quindi applicare alcuna procedura di analogia vietata in ambito penalistico in mala partem (in specie, il Tribunale ha escluso sussistere la responsabilità di cui sono titolari le figure del direttore della stampa periodica, l’editore e lo stampatore, ruoli ben diversi dal server provider).
In merito al secondo punto, non si può ravvisare a carico del server provider la concreta possibilità di esercitare un efficace controllo dei messaggi contenuti sul proprio sito, considerando l’enorme afflusso di dati che transitano sui server e la possibilità costante di immissione di nuove comunicazioni anche attraverso collegamenti alternativi proprio per la struttura aperta di Internet, che non rappresenta alcun unitario sistema centralizzato, ma una possibilità di molteplici connessioni fra reti e computer diversi.
Dunque, l’attività del server provider consistendo nell’offerta di uno spazio in rete e di un accesso al sito – attività definita dal Tribunale neutra e lecita – non può in alcun modo configurarsi penalmente rilevante .
Solo laddove il provider si inserisse attivamente nella condotta penalmente rilevante (ad esempio contribuendo alla divulgazione di un messaggio relativo alla distribuzione del materiale incriminato) allora potrebbe palesemente configurarsi l’illecito contestato.
Il Tribunale ha conseguentemente concluso con l’esclusione della penale responsabilità del server provider non potendosi individuare suoi comportamenti che dimostrino vuoi un apporto causale – una partecipazione specifica – alla divulgazione delle foto pedo pornografiche esposte dai diretti incriminati, vuoi la sua conoscenza del contenuto illecito del materiale divulgato dal sito ospitato sul suo spazio web, assolvendo quindi l’imputato dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.
Questa è la prima sentenza in Italia in tema di responsabilità penale da link, sino ad oggi affrontata solo in ambito dottrinale e giurisprudenziale civilistico, sintomo evidentemente che anche l’autorità giudiziaria si trova sempre più frequentemente a dover affrontare tematiche giuridiche connessa alla rete.
Dott.ssa Valentina Frediani
www.consulentelegaleinformatico.it