Il social network dedicato al mondo del lavoro LinkedIn dovrà presentarsi in aula per confrontarsi con le accuse di violazione della privacy legate all’accesso ai contatti email dei suoi utenti .
Ad occuparsi del caso sarà la corte distrettuale di San Jose, California, presieduta dal giudice Lucy Koh. Il contenzioso è stato aperto da quattro utenti statunitensi che hanno per la loro accusa ottenuto lo status di class action: a non piacere sono le libertà che LinkedIn si arroga accedendo alla rubrica email dei suoi utenti e inviando missive impersonandoli con l’obiettivo di attrarre nuovi membri.
Questa pioggia di email ha naturalmente dato origine a imbarazzi: il social network ha inviato email ad ex-partner, a colleghi di lavoro ritenuti non equilibrati, alla concorrenza, a persone che probabilmente non ricordano affatto il nome del mittente.
Il nodo della questione, sottolinea l’accusa , è il metodo con cui LinkedIn procede al prelievo delle email di soggetti terzi: “Se un utente LinkedIn lascia aperto il proprio account di una email esterna, LinkedIn si spaccia per l’utente e scarica sui propri server gli indirizzi email contenuti ovunque nell’account”. Il tutto, denunciano gli utenti senza però fornire alcun dettaglio tecnico, senza richiedere una password o senza ottenere il consenso dall’utente.
Secondo il giudice distrettuale Lucy Koh, il fatto che il social network invii tre missive rappresenta un aspetto da approfondire: anche se gli utenti hanno dato un consenso, esso non si estende al triplo messaggio.
A questo si aggiunge il fatto che lo stesso social network valuti non poco i contatti così sbrigativamente aggiunti al suo database: il contatto con account non direttamente collegati alla propria rete di conoscenze, altrimenti irraggiungibili, vale 10 dollari.
Claudio Tamburrino