Linus Torvalds ha annunciato la disponibilità della nuova versione di Linux , il kernel del Pinguino che arriva così alla versione 2.6.35. Che si tratti di bugfix o nuove funzionalità, Linux 2.6.35 chiude un ciclo di sviluppo e ne apre immediatamente un altro che già si prospetta ricco di novità e discussioni in seno alla community open source.
Visto dalla prospettiva dell’utente finale, il corposo elenco di miglioramenti, correzioni di bug e nuove caratteristiche tocca un gran numero di sottosistemi e ambiti di utilizzo: dal risparmio energetico sulle schede grafiche e i processori al miglior sfruttamento della potenza dei processori multi-core, dall’accelerazione hardware dei flussi video H.264 – con le istruzioni incluse nelle ultime CPU Intel – alla virtualizzazione, al sottosistema di memoria, ai file system, al networking.
Il networking in particolare riserva una delle novità più interessanti di Linux 2.6.35: l’ultima revisione del kernel del Pinguino implementa le tecnologie Receive Packet Steering (RPS) e Receive Flow Steering (RFS) di Google, entrambe pensate per incrementare le transazioni-per-secondo (tps) e il volume di traffico di rete sui sistemi multi-core.
RPS serve a distribuire i pacchetti di rete in arrivo su tutte le CPU (e i core) disponibili sulla macchina, mentre RFS si incarica di calcolare quale CPU/core sia più adatto a processare i suddetti pacchetti di dati. I risultati delle due nuove tecnologie si misurerebbero in un incremento di tps da 104mila a 303mila sfruttando il doppio della potenza del processore (61% contro il 30% senza RPS/RFS).
Linux è arrivato a una nuova release ma lo sviluppo sul kernel naturalmente non si ferma, anzi: nell’annunciare il nuovo Linux, Torvalds coglie l’occasione per avvertire tutti coloro che contribuiscono al codice del kernel di fare attenzione a quel che sottopongono ai mantainer del progetto per la prossima versione del Pinguino e di non trasformare Linux-next in un codice instabile difficile da gestire.
Instabilità a parte, il prossimo Linux dovrebbe portare in dote la funzionalità AppArmor , grazie alla quale gli admin avranno la possibilità di stabilire criteri di accesso stringenti per ogni software Linux, mitigare i danni in caso di exploit di vulnerabilità e rafforzare la sicurezza dell’intero sistema. AppArmor non è sin qui riuscita ad approdare nel kernel ufficiale, ma dopo oltre quattro anni la funzionalità potrebbe divenire parte integrante di Linux grazie al mantainer del sottosistema di sicurezza James Morris.
Alfonso Maruccia