Roma – Buongiorno. Cito un paragrafo da “Punto Informatico”, nel commento su Peter Gabriel :
A fronte di un luogo nel quale confluiscono decine di milioni di utenti per scambiare musica (anzi “tradare”, come qualcuno dice qui da noi con un orribile inglesismo), Gabriel produttore di sé stesso non trova niente di meglio che un sistema di distribuzione online da 10 dollari. Tanto dovrà pagare chi vorrà ascoltare “Up” sul proprio computer.
Ho evidenziato in corsivo il punto su cui vorrei discutere. Convengo con voi che “tradare” non è il massimo dell’eufonia, certo non è nemmeno il peggiore dei mali, forse non è nemmeno orribile, magari è addirittura utile. Spiego.
Pare proprio che la lingua italiana abbia cessato di evolversi, almeno nei modi tradizionali: è sintomo di malessere profondo, di prossima fine della lingua? Per rendersi conto che l’evoluzione “convenzionale” ha perso slancio, basta andare a vedere i quotidiani ad intervalli di 20 o 30 anni; si vede benissimo che il lessico, la struttura della frase e addirittura l’ortografia cambiano (agli inizi del secolo si usava “ch” per il suono della “c” dura, p.es. in “stomacho” che ho visto in una pubblicità del 1908). Negli ultimi 20 – 30 anni ciò non accade quasi più, il Corriere della Sera del 1970 è sostanzialmente identico a quello fresco di stampa.
L’inglese al contrario è – nonostante rozzezze affatto trascurabili – in ottima salute, infatti non teme di inventarsi nuovi lemmi ad ogni piè sospinto; insomma la lingua si evolve, è vitale. Qualche Americano si scandalizza, per esempio, per “edutainment”?
Nei bei tempi andati l’ambito culturale era italiano: il grande Beethoven capiva l’Italiano, tuttora una recita andata male è un “fiasco” alla Scala come al Metropolitan ed i giovani gentiluomini venivano in Italia a fare il Grand Tour culturale.
Ormai l’ambito culturale è anglosassone e forse l’evoluzione dell’Italiano non avviene più rimescolando i suoi propri elementi ma mutuando nuovi lemmi e strutture dall’ambito economico e culturale dominante. Qualcosa di simile a ciò succedeva in tempi remoti e meno remoti, quando gli eserciti stranieri ci colonizzavano ed il volgo ignorante rimasticava le nuove parole in una forma a lui più consona.
Così prosperarono i dialetti, ora in crisi anche perché il volgo è colto e non ha più bisogno di versioni semplificate della lingua ufficiale. Qui in Lombardia, per esempio, abbiamo parole francesi, spagnole (il mio stesso cognome ha origini spagnole, è una lunga storia), tedesche ed anche greche (cadrega, significa sedia, anche questa è una lunga storia).
Allora, in conclusione, propongo di accettare di buon grado i nuovi lemmi anche di derivazione anglosassone, turandoci il naso come disse Montanelli, in quanto nuovo e potente motore evoluzionistico della lingua Italiana. Non propongo di accettare acriticamente e filologicamente tutto ciò che ci arriva dall’estero; tradare va benissimo, come chattare, linkare, bannare e via citando. Rimastichiamo i lemmi stranieri che ci aiutano a descrivere la nuova realtà, visto che non siamo più capaci di produrne di nostri.
Bene, buttato giù di getto questo è il mio pensiero; posso conoscere il vostro?
Cordiali saluti
Pierangelo Pensa
Caro Pierangelo, PI mi ha chiesto di risponderti quale autore del commento che hai citato ma devo dire che non ho opinioni “forti” a proposito. Tratto la lingua non come un oggetto di culto ma come esclusivo mezzo di comunicazione: ciò che vale è poter comunicare potendo contare su un’ampia varietà di linguaggio (cioè su un numero più ampio possibile di concetti) senza per questo risultare incomprensibile a colui o colei con cui si sta parlando, a cui si sta scrivendo e via dicendo. Accetto quindi di buon grado il rimasticamento “all’italiana” di termini anglosassoni, ma non perché la loro trasformazione in “italianese” dia loro un “senso italiano” ma proprio perché consentono di “capirsi” e ampliano quindi le nostre possibilità di comunicazione.
Rimango però convinto che “tradare” sia infelice, come “pullare”, “uppare”, “oppare” o “sniffare”: si tratta di termini comprensibili davvero ad una ristretta elite di persone e rischiano di rendere poco intelligibile qualsiasi discorso, scritto ecc. Per lo stesso motivo non ho problemi a parlare di “scannare” (anche se lo Zingarelli sostiene che il termine giusto, per quanto mi riguarda assolutamente inadatto, è “scandire”) se si utilizza uno “scanner” o di “hackare” e “craccare” quando si parla di operazioni di hacking o cracking.
Temo che la conclusione sia che una “regola d’oro” quando si viene a questi termini in realtà non esiste.
Un saluto, a presto, Gilberto Mondi