La Privacy and Civil Liberties Oversight Board ( PCLOB ), la commissione del Congresso degli Stati Uniti istituita per vigilare sulla protezione della privacy e delle libertà civili nella lotta al terrorismo, si è espressa sulla raccolta massiva di dati da parte del Governo e l’ha definita priva di una “base giuridica valida”, con “problemi di ordine costituzionale sotto il primo e il quarto emendamento”, nonché fonte di “gravi minacce alla privacy e delle libertà civili” e dal “valore limitato” per la lotta al terrorismo.
La Commissione non parla in generale di tutto quanto venuto fuori dai documenti divulgati dall’ex-analista NSA Edward Snowden, ma nel dettaglio solo del programma che obbliga le telco a passare alle autorità le registrazioni telefoniche. In particolare, la Commissione dice che la Section 215 del Patrioct Act, su cui il programma di intercettazioni è stato istituito, non rappresenta affatto “un’adeguata base legale”.
Inoltre secondo la PCLOB è mancata del tutto la revisione giuridica da parte della Foreign Intelligence Surveillance Court che, pur ordinando intercettazioni già da maggio 2006, non si è espressa sulla questione fino a quando Snowden non ha deciso di lasciare il suo paese, scappare in Russia (da cui ora dice di non essere aiutato da Mosca) e scoperchiare il vaso di Pandora.
Oltretutto, questo mare di dati rappresenterebbe anche un mezzo inefficiente per combattere il terrorismo : sembra addirittura che non abbia contribuito direttamente a nessuna scoperta di terroristi o attentati.
Per questi motivi tre dei cinque membri della commissione hanno rilevato come l’intero programma fosse da considerare illegale . Tuttavia, non avendo poteri esecutivi, la PCLOB si è limitata a raccomandare al Governo di porre fine al programma : una conclusione che sembra distante anche dalla proposta di riforma presentata dal Presidente Barack Obama, che non sembrava prendere posizione sulle questioni particolarmente dubbie ed in particolare sulla possibilità da parte del Governo di effettuare raccolte massive di dati personali.
Se da Washington arrivano gli appelli a cambiare la situazione, anche gli operatori del settore stanno cercando di trovare una soluzione: da ultimo è Microsoft a proporre di ospitare i dati dei propri utenti su server localizzati fuori dagli Stati Uniti, in modo tale da limitare le ingerenze dell’NSA. Non si tratta certo di una garanzia di sicurezza (le spie americane si sono infiltrate anche nelle reti interne di Google e Yahoo! ed hanno in altre operazioni trovato la collaborazione dei servizi segreti stranieri), tuttavia rappresenta – quanto meno – un tentativo di riguadagnare la fiducia degli utenti.
Claudio Tamburrino