Sessioni di navigazione intercettate, messaggi pubblicitari ad hoc iniettati nelle pagine visitate con l’avallo e la complicità interessata dei provider: un business in ascesa , un retrogusto che sa di noto. Lo spyware assume la denominazione socialmente accettabile di behavioral advertising, Gator si reincarna in NebuAd.
A scavare attorno alle fondamenta umane sulle quali poggia NebuAd è The Register : l’azienda alla quale i provider si affidano per commissionare l’analisi dei comportamenti dei propri utenti da rivendere agli inserzionisti conta nel proprio staff cinque pilastri del fu Gator , impresa che ha a lungo combattuto per ridisegnare la propria reputazione . I netizen l’hanno per anni bollata come dispensatrice di spyware a fini commerciali, Gator si è sempre difesa proponendosi come ausilio alla navigazione.
C’è molto in comune tra NebuAd e Gator : analogo l’intento di monetizzare il tracciamento dei netzien, analogo il modo di proporre i propri servizi, analoga la composizione dell’azienda. In rete non si esita a suggerire che NebuAd non sia che l’ennesima reincarnazione di Gator, che si era prima riproposta come Gain e nel 2003 aveva assunto l’etichetta di Claria per rimettersi in gioco. Gli indizi raccolti sono numerosi: le sedi delle due aziende coincidono, entrambe sono localizzate a Redwood City in California; indagini condotte a mezzo LinkedIn suggeriscono un travaso di personale; il dominino di NebuAd è stato registrato proprio nel momento in cui Claria ha annunciato di voler chiudere con il business dell’adware.
Ma da NebuAd non giungono che smentite: “Sono due aziende differenti, con un management differente e con investitori differenti e non hanno mai avuto alcuna relazione tra loro”. Fra le fila dell’azienda figurano esperti reclutati da aziende che si occupano di sicurezza online, di marketing e di analisi di traffico, si difendono dall’azienda: “Alcuni degli ex impiegati di Claria lavorano a NebuAd, ma questo è tipico nella Valley”. I netizen non devono dunque temere, i provider non devono dunque rinunciare a monetizzare l’analisi dei comportamenti degli utenti: tutti gli impiegati di NebuAd operano con “interesse e attenzione per la protezione e per la privacy del consumatore”.
Le differenze tra le due aziende sono dunque lampanti, evidenziano dai vertici dei NebuAd. Concordano da Free Press e da Public Knowledge , associazioni che si battono per i diritti dei cittadini della rete: la mediazione dei provider che approfittano dei servizi dell’azienda rende tutto più ufficiale e rassicurante. Ma, sostiene qualcuno, non meno infido: a svelare il funzionamento di NebuAd è un report stilato da Robb Topolski , colui che si è scagliato contro le intercettazioni e il filtraggio del traffico praticati da Comcast. NebuAd scaglierebbe un’offensiva a cavallo di un browser hijacking e di un attacco cross site scripting, dispenserebbe del codice nascosto al browser dell’utente, affinché diventi una cimice per tracciare i comportamenti online dell’utente. Comportamenti da analizzare e da dare in pasto agli inserzionisti in cerca di target a cui mirare con bombardamenti pubblicitari.
“NebuAd infrange le regole dei comportamenti accettabili su Internet – denuncia Topolski – monitora quello che vedi su Internet, irrompe e cambia i contenuti delle tue comunicazioni private, tiene traccia di quello che hai fatto e se sei consapevole di ciò è impossibile scegliere l’opt out”. Da NebuAd giungono anche in questo caso delle rettifiche : i gestori non si dilungano in tecnicismi ma si limitano a precisare che l’opt out è una scelta a disposizione del netizen in ogni momento e ad avvertire che i profili dei cittadini della rete sono profili anonimi e non intaccano in alcun modo il diritto alla privacy. Una strategia di difesa già adottata da NebuAd in occasione delle critiche scatenatesi dopo l’annuncio dell’implementazione del servizio di behavioral advertising da parte dell’ISP Charter, una strategia di difesa che non ha convinto il Congresso: il modello di business su cui si fonda NebuAd corre sul crinale della legalità.
Gaia Bottà