Google ha messo nel piatto il rapporto del suo Adivisory Council composto da esperti indipendenti, nel quale si provano a mettere in luce dubbi e nodi da sciogliere nella questione relativa al diritto all’oblio e agli obblighi che derivano per il motore di ricerca dalla sua applicazione.
Nei mesi scorsi i garanti della privacy europei, radunati nel gruppo di lavoro Article 29, avevano reso pubbliche le loro linee guida per l’applicazione del diritto all’oblio, aprendo il dialogo con Google e con gli altri operatori della rete costretti ad intervenire sulle informazioni indicizzate sulla base della nuova declinazione della privacy in Europa . Con diritto all’oblio si intende, in generale, quella delicata declinazione della privacy che riconosce il diritto a veder “dimenticati” (concretamente: de-indicizzati dai motori di ricerca) alcune notizie ed episodi che secondo il diretto interessato dovrebbero rimanere sepolti nel passato. Si tratta evidentemente di trovare un equilibrio tra diritto alla cronaca e quello alla privacy, nel quale a far da discriminante dovrebbero essere i concetti di non rilevanza e non attualità, concetti tuttavia generici e su cui è necessario il confronto.
Al dibattito sull’argomento Mountain View ora aggiunge il rapporto frutto del lavoro che ha prodotto l’ Adivisory Council composto da esperti indipendenti, e di una serie di dibattiti pubblici organizzati nel corso dell’ultimo anno: le conclusioni non rispecchiano la posizione ufficiale dell’azienda, ma rappresentano senza dubbio uno spunto per le decisioni che dovrà prendere Mountain View nelle prossime settimane. Oltre, ovviamente, a un buon espediente per fare pressione sulle autorità del Vecchio Continente vista l’autorevolezza delle voci che si esprimono attraverso il documento.
Molteplici i punti di vista offerti. Il cofondatore di Wikipedia Jimmy Wales, come già sottolineato fino ad ora, pur contribuendo al dibattito si è per esempio espresso a sfavore: “mi oppongo completamente al fatto che una azienda – riferisce nel report – debba diventare il giudice dei nostri fondamentali diritti ad esprimerci e a godere della privacy”. Anche Frank La Rue, che per l’ONU si occupava di diritto alla libertà di espressione e di opinione, ha ribadito il proprio parere, riaffermando la necessità di coinvolgere le autorità, e non un’azienda, nell’operare il delicato bilanciamento tra i diritti in gioco.
Il documento, ad ogni modo, rappresenta una visione globale non solo del problema in sé, ma in generale dell’approccio nei confronti della gestione dei dati raccolti online, nonché della necessità del loro utilizzo raccontata attraverso la procedura da adottare nella de-indicizzazione e nella gestione dei dati. In estrema sintesi, nel rapporto si dice che qualsiasi richiesta di rimozione dai risultati della ricerca di determinati contenuti debba poter essere notificata ai diretti interessati (in particolare gli editori) a cui deve essere data la possibilità di far valere le proprie opinioni.
Si parte, in particolare, proprio dal concetto di territorialità per limitare la portata dell’interpretazione della privacy della Corte di Giustizia europea: in base a questa le istituzioni europee vorrebbero un’applicazione del diritto all’oblio a livello globale, considerando il servizio di Google unico per tutti i paesi. Nel rapporto, al contrario, si ribadisce che il diritto all’oblio dovrebbe essere applicato solo nelle versioni locali europee del suo motore di ricerca.
Per il resto, il rapporto cerca di ribadire che si tratta di una questione di equilibrio e che la stessa sentenza della Corte di Giustizia europea ha riconosciuto che, per quanto i diritti fondamentali dei singoli prevalgano sugli interessi economici degli operatori e sull’interesse pubblico all’accesso alle informazioni, il pubblico stesso ha un interesse che può essere considerato più rilevante.
Nel cercare di stabilire dei criteri oggettivi per determinare quale dei due tipi di interessi prevalga in ogni singolo caso, così, il rapporto innanzitutto divide gli individui in tre categorie: persone con ruoli pubblici evidenti (CEO, politici, campioni sportivi ecc) per cui la sfera del privato è per definizione ristretta; persone senza un ruolo evidente nella vita pubblica il cui privato è maggiormente tutelato da Google o da un altro interlocutore impegnato nello stesso settore; persone che hanno un ruolo – seppur parziale, come il direttore di una scuola, o il leader di una comunità – nella vita pubblica per cui la valutazione e l’interesse pubblico può cambiare caso per caso. L’altro ordine di ragionamento è la natura della notizia legata alla persona: è molto più facile, per esempio, che vengano deindicizzate le informazioni legate alla vita sessuale o intima di una persona, quelle legate naturalmente ai minori, i dati falsi. La logica è simile a quella dell’Ordine dei Giornalisti che valuta in primo piano l’interesse pubblico, prevedendo singole eccezioni.
In più il rapporto del comitato considera l’elemento temporale: dando un valore minimo alla memoria storica, assume il principio secondo il quale sia il passare del tempo a poter determinare il cambiamento di una situazione e di conseguenza l’equilibrio degli interessi.
In conclusione, sui risultati contenuti nel rapporto si è espresso anche David Drummond (vicepresidente Google, responsabile delle questioni legali per Mountain View e pure membro del comitato stesso): “È stato molto utile ascoltare in questi mesi una molteplicità di punti di vista diversi in tutta Europa e terremo questo rapporto in considerazione. Nello svolgere le attività volte ad ottemperare alla decisione della Corte di Giustizia Europea stiamo anche attentamente considerando le indicazioni fornite dai Garanti europei”. In altre parole Big G si tiene le mani libere e non si appropria del contenuto delle pagine vergate dagli esperti da lei stessa invitati, in attesa di conoscere gli ulteriori sviluppi della situazione e valutare quali siano le prossime azioni da intraprendere.
Claudio Tamburrino