Vi trovate su uno dei 100 siti più visitati al mondo? E allora voltatevi e sorridete: ci sono 92 possibilità su 100 che un tracker di Google sia lì a monitorare il vostro comportamento. Secondo una ricerca appena pubblicata dall’Università di Berkeley, infatti, BigG domina incontrastata nel settore del tracking online, con numeri che superano largamente quelli di tutti i principali competitor. Con buona pace della privacy dei navigatori.
Lo studio, dal titolo KnowPrivacy , è stato realizzato da Joshua Gomez, Travis Pinnick e Ashkan Soltani, ricercatori presso la School of Information del prestigioso ateneo californiano. Servendosi del plug-in per Firefox Ghostery , i tre studiosi hanno passato in rassegna i tassi ed i modi di impiego di cookie , action tag e altri strumenti di tracking all’interno dei principali siti web del mondo.
Ed i risultati sono impressionanti, osserva The Register . Gli strumenti di tracciamento di BigG sono presenti in 348059 dei 393829 domini più visitati al mondo , e la percentuale non scende di molto neppure allargando il campione fino a 766000 domini, quota che porta il tasso di tracking all’80% circa. Google Analytics è impiegato nel 71% dei domini principali, Google AdSense da poco più del 35% e DoubleClick da circa il 26% dei siti esaminati.
Sono questi i dati che portano gli autori della ricerca a definire Mountain View come “il player dominante nel settore del tracking”. “Non credo che qualcuno abbia mai completamente chiarito lo scopo e la profondità del tracking operato da Google in giro per il web – ha spiegato al New York Times – lo stesso Soltani – Comunque sia, i nostri dati mostrano che anche quando gli utenti non vanno fisicamente dentro gli spazi Google, per il fatto stesso di navigare si espongono alla raccolta di dati da parte di quell’azienda”.
Allo stesso tempo, gli autori tengono a sottolineare come la presenza di robuste attività di tracking non si traduca automaticamente in profilazione e sorveglianza nei confronti degli utenti. “Non intendiamo sostenere che Google compia operazioni di aggregazione e profilazione all’interno di database centralizzati, anche se è un dato che avrebbe gli strumenti per farlo” si legge nello studio.
L’imponenza dell’attività di monitoraggio operata da Mountain View risulta ancora più chiara nel raffronto con quelle realizzate dai competitor. I cookie di Atlas – il corrispettivo di DoubleClick sviluppato da Microsoft – compaiono nel 60% dei 100 siti più visitati (contro il 70% di quelli di DoubleClick). Ma la percentuale scende radicalmente mano a mano che ci si allontana dalla Top100: assumendo a riferimento i 400000 domini più visitati, risulterebbe infatti che i tracker di Redmond compaiano solo nel 3% dei casi. Ed una percentuale consimile varrebbe per i cookie di Omniture e Quantcast, presenti solo nel 6% del campione allargato.
Per sua parte, Mountain View non ci sta a far la parte dell’ evil . I responsabili dell’azienda osservano come i cookie di Analytics siano diversi per ciascun sito, per cui risulterebbe materialmente impossibile “seguire” gli utenti nei loro spostamenti da spazio a spazio. Inoltre, afferma BigG, i contratti firmati con i clienti di DoubleClick e AdSense proibiscono qualsiasi attività di incrocio e aggregazione dei dati .
Al di là della preminenza di BigG, comunque, l’altro dato forte che emerge dallo studio è quello riguardante la profondità (e l’opacità) delle attività di raccolta e condivisione dati da parte delle aziende. Secondo la ricerca, 46 dei 50 siti più visitati al mondo condividono le informazioni relative ai propri utenti con le organizzazioni del gruppo imprenditoriale cui appartengono. E quando gli studiosi chiedono loro quanto ampia sia la circolazione dei dati, omettono di rispondere. “La maggior parte delle aziende interpellate spiegano che non sono autorizzate a rilasciare informazioni sensibili riguardanti le proprie policy” spiega a El Reg il supervisore della ricerca Brian Carver. “Altre – aggiunge – forniscono un numero limitato di informazioni… Come a dire che per gli utenti non è materialmente possibile sapere chi entrerà in possesso dei loro dati”.
Con il suo approccio di business innovativo, basato sull’organizzazione e la condivisione gratuita delle informazioni, Google ha creato in pochi anni un impero di dimensioni ragguardevoli e – dicono alcuni – gettato le basi per una nuova forma di organizzazione economica. Tuttavia, la crescita impetuosa ha esposto BigG anche a crescenti critiche, ed attenzioni non sempre benigne da parte delle autorità. Nel corso degli ultimi mesi, l’azienda è finita per ben due volte sotto la lente delle autorità antitrust statunitensi, mentre la sua preminenza nel campo del search crea perplessità anche tra gli osservatori più autorevoli .
Giovanni Arata