Nel Regno Unito il DNA di quattro milioni di persone è schedato e archiviato, più del sei per cento della popolazione figura nel registro genetico di stato. Un archivio che, in proporzione, fa impallidire persino quello degli USA, che conta un milione di dati in più, spalmati però su una popolazione cinque volte più numerosa.
Nell’archivio del Regno Unito, Scozia esclusa, sono conservati i dati genetici di oltre cento bambini al di sotto dei dieci anni, quasi novecentomila sono i minori schedati, e non mancano all’appello nemmeno gli ultranovantenni: sono stati schedati 46 anziani criminali, o sospetti tali.
Il registro si infoltisce di 30mila record ogni mese. Le forze dell’ordine sono invitate a raccogliere un numero sempre maggiore di dati, riguardo ad un numero sempre maggiore di persone che trasgrediscono la legge, spiega Reuters snocciolando dati ufficiali. A tale proposito, è recente la consultazione pubblica indetta dal governo per sondare l’umore dei cittadini riguardo alla possibilità di raggranellare le impronte genetiche anche di coloro che si macchiano di reati minori, compresi coloro che deturpano le strade con cartacce.
The Register segnala che ci sono parlamentari che invocano un’inversione della tendenza, nel senso di un maggiore rispetto dei cittadini innocenti che vorrebbero che i loro dati biometrici venissero rimossi dall’archivio nel quale sono stati catapultati, dei cittadini che vorrebbero evitare che la loro reputazione biometrica li preceda.
Di diverso parere sono le forze dell’ordine, che considerano il registro del DNA un efficace strumento a supporto delle indagini : nel 2005, quando il database del DNA non era che un archivietto da 200mila record, le prove raccolte sulla scena di numerosi crimini hanno permesso di catturare 8mila colpevoli, confrontando le tracce lasciate dai malviventi sul luogo del delitto con i dati immagazzinati nel registro del DNA.
Una visione che sta avendo presa anche in Italia : si fa sempre più concreta la prospettiva del database genetico, grazie al quale, sostiene il capo della polizia scientifica Alberto Intini, sarà possibile identificare il 60 per cento in più di criminali.
Ma a lanciare l’allarme in proposito è Alec Jeffreys, padre del DNA fingerprinting che in più occasioni si è affiancato alle forze dell’ordine del Regno Unito per risolvere casi intricati: “La regolamentazione è seriamente arretrata rispetto all’uso del registro del DNA”. Un uso spesso sconsiderato, soprattutto durante la fase di raccolta dei dati sul luogo del delitto: “Estraendo il DNA solo da poche tracce presenti sulla scena del crimine non è possibile avere idea della loro rilevanza per l’atto criminale. Nel DNA non è scritto colpevole né innocente “.
Gaia Bottà