La storia del cinema e della musica non la fanno solo gli artisti ma anche quelli che questi artisti li pagano, li fomentano e li fanno lavorare, cioè i produttori. È una legge ben nota nell’ambiente che negli ultimi 30 anni (almeno dall’arrivo del Betamax) ha aggiunto anche gli innovatori tecnologici, coloro i quali hanno inventato nuovi formati di distribuzione in grado di fondare nuovi universi di consumo e di business che alimentassero la produzione. L’home video come i CD sono stati il penultimo passo, il commercio online l’ultimo, Jobs il suo interprete principale anche se il più tardivo.
L’uomo che ha finito per dover togliere il Computers da Apple Computers Inc ha raggiunto dei traguardi indubbi, come l’aver ridato senso commerciale alla musica nell’era della sua smaterializzazione partendo dall’hardware, l’aver superato da solo il concetto di notebook creando un ecosistema in cui far vivere un tablet (cosa che era fallita a tutti gli altri produttori di tavolette in passato) e su tutti la creazione di un’industria dell’entertainment che prima non esisteva appoggiandosi alle potenzialità mobili della rete che, nel 2007, ancora nessuno era riuscito a comprendere.
Inventando un nuovo oggetto (per Steve si parte sempre dall’hardware: “Se vuoi fare sul serio col software devi farti anche l’hardware”) Jobs ha inventato anche una nuova categoria di software, l’app, un nuovo paradigma attraverso il quale dare senso a Internet fuori dal computer. Le app nascono con iPhone ma, lo stiamo vedendo, finiscono in qualsiasi altro device connettibile.
Con una parabola professionale che sembra scritta dalle penne della Hollywood vecchio stampo (ascesa, declino, cacciata dall’azienda fondata, risalita attraverso nuove avventure, ritorno ad Itaca con successo clamoroso e finale con colonna sonora che sale di volume) e una piccola parentesi ad inizio anni ’90 in cui finanziò l’impresa che avrebbe cambiato il modo di intendere il cinema d’animazione e poi il cinema tout court (quando smuovi in questa maniera un parte dell’oceano le ripercussioni si sentono in tutto il mondo), l’ormai ex-CEO Apple chiude finchè è un vincitore anche se forse non l’avrebbe desiderato, ipotecando un finale di vita e una seconda vita post-mortem da autentico santo. Una deriva sciocca ma inevitabile dei successi e del carisma profuso.
Jobs non va santificato ma nemmeno sminuito. È stato un imprenditore-pensatore che ha cambiato il suo settore industriale con la forza di idee più che di ottimizzazione della produzione (quello è stato compito di Tim Cook, il successore).
Ed è quindi un fatto che se una storia ragionata del pensiero e dell’evoluzione informatica deve fare i conti con le idee, le parole e le conquiste della Apple di Steve Jobs, è altrettanto evidente che anche l’industria dell’entertainment deve venire a patti con il fatto che un uomo ad essa totalmente estraneo, che pochi legami aveva con i grossi tycoon che tiravano le fila della produzione audio video, è riuscito a costringerli a rivedere business plan e catene di montaggio grazie alla forza della comprensione dell’ecosistema tecnologico.
Quello dei contenuti selvaggiamente immessi e condivisi in rete senza regole è stato un periodo strano, imprevedibile e poco comprensibile se vissuto giorno per giorno. Ci voleva un “maverick” per capire cosa farne, e quel maverick fu lui. Uno dei più importanti pensatori tecnologici del nostro tempo, che non ha scritto nulla ed ha agito molto, sbagliando tanto e azzeccando poco ma ogni volta in maniera determinante.
Il mondo dei computer questo l’ha capito e da tempo lo imita, quello dell’entertainment no.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.