“On January 24th Apple will introduce Macintosh. And you ‘ll see why 1984 won’t be like 1984”
Roma – Con questo slogan, Apple annunciò al mondo la nascita di un computer che ha rivoluzionato la storia dell’informatica, e con queste parole, dieci anni fa, raccontavo su queste pagine i primi vent’anni di storia del Macintosh. Il mio racconto proseguì qualche mese dopo con la storia dei primi vent’anni di MacOS e quest’anno, in occasione del trentesimo anniversario della nascita del Mac, vorrei riagganciarmi a quei “vecchi” articoli per ripercorrere i punti salienti di questi ultimi 10 anni della storia di Apple.
Prima di tutto però vale la pena di precisare che dieci anni, in ambito informatico, sono un’enormità: in questi dieci anni di cose ne sono successe davvero molte a Cupertino, quello che prima era il principale prodotto di Apple (per l’appunto il Mac) occupa oggi una parte molto più limitata del fatturato totale, un percentuale inferiore al 20 per cento. Questo non significa che le vendite dei Mac siano calate (anzi, sono in costante aumento) ma che il mercato è cambiato: qualcuno parla di era post-PC, qualcun’altro dice che il “computer for the rest of us” pubblicizzato da Apple nel 1984 si è impersonificato nell’iPad (o, più in generale, nei tablet). In ogni caso, anche se non sono dei Mac, i dispositivi iOS hanno cambiato profondamente Apple, quindi prenderemo in considerazione anche quelli. Ma cominciamo dal principio, da dove eravamo rimasti 10 anni fa.
Il mondo Mac
Nel 2004 arrivano l’ Xserve G5 e l’ iMac G5 . Con l’Xserve G5, e sulla spinta di MacOS X (che a tutti gli effetti era già allora un sistema UNIX like, anche se la certificazione arrivò solo nel 2007, con la versione 10.5), Apple cercava di conquistare un mondo nel quale non era mai entrata, un mondo che decise poi di abbandonare a fine 2010. Quello dei server enterprise.
L’iMac G5 segnò invece un punto di svolta nell’estetica di una delle serie più fortunate di desktop della Mela. Abbandonato il cosiddetto lampadone , il nuovo iMac nasconde tutto l’hardware dietro il pannello del monitor: una soluzione che, a meno del cambio di materiali (dal policarbonato bianco all’alluminio) e qualche ulteriore affinamento, è la stessa adottata anche dal modello attuale. L’iMac, con il Power Mac G5 dell’anno precedente, è uno degli ultimi tentativi di Apple per mantenere in vita la famiglia di processori PowerPC , nella quale Motorola e IBM hanno ormai smesso di credere: nei portatili il G5 non ci entra proprio, tant’è che nello stesso anno vengono aggiornati sia gli iBook che i PowerBook, ma sempre con processori G4. Per qualche tempo si parlò anche della possibilità portatili con doppio processore G4 ma non se ne fece nulla, né si seppe mai quanto fosse fondata questa voce.
Il 2005 si aprì invece con una macchina completamente nuova che usciva dagli schemi della griglia definita da Jobs al suo rientro in Apple: il Mac mini . Desktop supercompatto (anche se le prime serie avevano l’alimentatore esterno, a differenza del modello attuale) ed “economico”, il Mac mini nasceva con la precisa intenzione di conquistare gli utenti Windows, consentendo loro di utilizzare monitor, mouse e tastiera che già possedevano. Per essere ancora più incisivi in questa campagna, l’anno successivo Apple lancio uno spot pubblicitario il cui slogan era proprio Get a Mac , spot nel quale il Mac e il PC venivano impersonificati da due personaggi con uno stile completamente differente in cui il “goffo” PC aveva sempre la peggio rispetto al Mac.
La campagna ebbe un grande successo, tanto da protrarsi fino al 2010, e l’idea che passare da PC a Mac era un’operazione semplice ed indolore fu sostenuta da un radicale cambio di strategia di Cupertino: nel corso della WWDC del 2005 Apple annuncia il graduale passaggio all’architettura Intel, transizione inevitabile alla luce di quanto scritto sopra. Apple aveva pronta l’opzione x86 fin dagli inizi dello sviluppo di MacOSX, come soluzione alternativa da sfoderare in caso di necessità: lungimiranza di Jobs o strategia preparata con largo anticipo? Ad ogni modo, per facilitae la transizione fu preparato un layer di sistema ( Rosetta ) in grado di interpretare il codice PPC e tradurlo in modo trasparente in istruzioni x86; contemporaneamente vennero distribuiti nuovi tool di sviluppo in grado di compilare software che girasse nativamente su entrambe le architetture, mentre gli sviluppatori potevano accedere a particolari versioni dei Power Mac già realizzati con processori Intel.
I primi Mac a passare ad Intel furono l’iMac e il PowerBook (che per l’occasione divenne MacBook Pro) già a gennaio del 2006. A ruota seguirono il Mac mini a febbraio e l’iBook a maggio (che col cambio di architettura divenne MacBook ); la transizione si concluse rapidamente nel settembre dello stesso anno con i Mac Pro, che andavano a sostituire i PowerMac-G5. Ovviamente, pur essendo poco dolorosa, una transizione di questa portata non è certo una cosa da poco, e non fu esente da problemi di compatibilità con alcuni software (in particolare quelli che facevano esplicita richiesta di istruzioni per il PPC-G5 e quelli che utilizzavano in modo diretto le estensioni del kernel); a partire dall’estate del 2011, con MacOS X 10.7 (Lion) Rosetta è stata eliminata, e questa eliminazione spiega anche perché ancora oggi ci sia un 20 percento di utenti che non ha ancora abbandonato Snow Leopard.
Con il nuovo corso vennero prese le dovute precauzioni per far sì che le macchine prodotte da Apple fossero le uniche a funzionare con il sistema operativo della Mela (a partire dall’adozione di schede madri con EFI in luogo del comune BIOS ), ma i cosidetti hackintosh non tardarono ad arrivare, ed alcune aziende (come la Psystar ) misero in piedi un vero e proprio mercato di macchine “compatibili”, prontamente fermate dagli avvocati di Cupertino.
Il 2007 è un anno molto particolare, perché è l’anno in cui arriva iPhone (di cui parleremo più avanti) e da quell’anno in poi gli interessi di Apple cominciano a cambiare: non mancano le polemiche di chi accusa Apple di badare troppo ai gadget di facile guadagno trascurando il mondo dei computer, ma in realtà Apple ha portato ancora diverse novità anche nel mondo Mac, alcune delle quali mutuate proprio dall’esperienza maturata con iOS e i cosiddetti iDevice.
Apple non ha mai creduto nei cosiddetti NetBook , preferendo la realizzazione di computer ultraportatili ma con schermo e tastiera senza compromessi (o, in alternativa, la reinvenzione dei tablet di cui parleremo). Fu così che nel 2008 nacque il MacBook Air : schermo da 13 pollici, tastiera full-size , 1,36 kg, e spessore tra i 4 e 19 millimetri. Per sottolineare lo spessore ridotto Apple confezionò uno spot dove l’Air usciva da una busta di carta, ma c’era ancora un piccolo margine di miglioramento visto che il primo modello montava comunque un piccolo hard disk meccanico (SSD opzionale): fu solo due anni più tardi, nell’ottobre del 2010, che questo hard disk venne definitivamente abbandonato per lasciare spazio alla sola memoria flash, e contestualmente venne presentato un modello da 11 pollici, ancora più leggero e compatto, ma comunque dotato di tastiera full-size .
Il 2008 è anche l’anno in cui il MacBook Pro, che fino a quel momento aveva mantenuto la stessa linea del precedente PowerBook G4, subisce un deciso restiling : cambia la tastiera, cambia la cornice dello schermo, e cambia il trackpad, che diventa più grande e perde il tasto (o, per meglio dire, lo integra con un click dell’intero trackpad). Quello che può sembrare un vezzo è in realtà una modifica che punta a facilitare l’utilizzo dei gesti multitouch (che gli utenti hanno imparato a conoscere ed apprezzare su iPhone) anche sui normali computer: scrolling a due dita, pinch to zoom e molte altre funzioni, diventano una comoda abitudine per tutti gli utenti dei portatili Apple, e dall’estate del 2010, grazie al Magic Trackpad , anche per gli utenti desktop.
Per qualche anno gli aggiornamenti dei Mac si sono susseguiti a scadenze più meno regolari (a parte il Mac Pro) ma senza particolari rinnovamenti, e con qualche indecisione sulla gestione della linea dei MacBook. Questo non faceva che alimentare le voci di chi voleva Apple più interessata all’iPhone che al Mac, tantopiù che nel 2010 arrivò iPad come ulteriore elemento di “distrazione”. Nonostante ciò gli aggiornamenti non mancavano, soprattutto sulla linea dei portatili, e anche il Mac mini (dato per spacciato da alcuni) rinacque con un nuovo design ancora più sottile e con l’alimentatore integrato. L’anno successivo, nel 2011, il Mac mini perse il drive ottico, segnando per Apple la strada dell’abbandono definitivo di questo tipo di supporto (così come dieci anni prima segnò la via per l’abbandono del floppy-disk): dopotutto il software si scarica ormai da Internet (nelle intenzioni di Apple, dal Mac App Store ) così come la musica e i film (anche qui, nelle intenzioni di Apple, dall’ iTunes Store ).
Anche la masterizzazione di CD e DVD non è quasi più necessaria, visto che i filmati in alta definizione si archiviano su memorie flash: Apple, forse anche per questo, non ha mai fornito macchine con lettori o masterizzatori Blu-Ray. Il 2011 è anche l’anno in cui Apple introduce la tecnologia Thunderbolt , interfaccia di connessione ultraveloce sviluppata in collaborazione con Intel e fulcro della connettività di tutte le macchine Apple presentate da quel momento in poi.
L’eliminazione del drive ottico permette ad Apple di realizzare un portatile ultra-compatto e con grande autonomia: il MacBook Pro Retina. Durante la WWDC di due anni fa Apple svelava al pubblico una linea di portatili con schermo ultradefinito, archiviazione esclusivamente SSD, profilo sottile (non tanto quanto l’Air) e autonomia da record. Contemporaneamente viene cessata la produzione di portatili con schermo da 17 pollici.
Oggi, ad eccezione di un modello da 13 (probabilmente destinato a sparire presto) che mantiene ancora hard disk meccanico e drive ottico, la linea dei portatili Apple si è assestata sui modelli Air come entry-level e i Retina come gamma professionale. Sul fronte dei desktop anche iMac è stato rinnovato nell’estetica a fine 2012, perdendo anch’esso il drive ottico ma guadagnando in compatezza e introducendo il Fusion Drive, ovvero la concezione Apple dei dischi rigidi ibridi. L’ultima novità hardware di Apple è il Mac Pro , ma qui parliamo di storia recente. Anche in questo caso è definita in modo chiaro e preciso la linea seguita da Apple: compattezza, nessun drive ottico, archiviazione su SSD, ed espandibiità Thunderbolt. Lo spazio di iOS
Prima di vedere cos’è successo sul fronte del sistema operativo dei Mac, val la pena di fare qualche accenno all’altro hardware presentato da Apple in questi anni, visto che i destini dei due mondi (quello dei computer Mac, e quello dei dispositivi iOS) si sono incrociati.
Nel 2004 iPod era sulla cresta dell’onda, grazie anche alla compatibilità con Windows introdotta a fine 2003, e i nuovi modelli venivano presentati in rapida sequenza seguendo anche gli andamenti del mercato. Mentre l’iPod classico si evolveva in iPod Photo e in iPod Video (e di conseguenza l’iTunes Music Store proponeva video musicali, spettacoli televisivi, e film), l’ iPod nano soppiantava l’ iPod mini sbizzarrendosi in numerosi restiling volti a mantenere sempre alto l’interesse del mercato: quadrato, rettangolare, con schermo allungato, con fotocamera, con clip, utilizzabile anche come orologio, con radio FM, contapassi e interfaccia touch.
Jobs però intuì che, quando tutti avrebbero avuto in tasca uno smartphone in grado di leggere anche la musica, a nessuno sarebbe più interessato un semplice lettore musicale. Fu così che si diede il via all’idea di realizzare un telefono cellulare, e tra le diverse proposte fu presa in considerazione quella basata su un dispositivo multitouch che Apple stava studiando già da diversi anni: iPhone nacque dai progetti di quello che poi sarebbe diventato iPad, e l’intuizione di Jobs sul crollo delle vendite degli iPod si rivelò esatta.
Una presentazione studiata a puntino in ogni minimo dettaglio fu l’unico modo per evitare qualsiasi inconveniente dovuto ad un sistema ancora acerbo e altamente instabile (l’annuncio fu fatto a gennaio del 2007, ma il telefono venne immesso sul mercato solo nell’estate di quell’anno) e far presa sul pubblico. Al di là delle dichiarazioni di facciata che volevano sminuire il nuovo prodotto di Apple, anche la concorrenza rimase fortemente impressionata da quello che aveva visto sul palco: da quel giorno il mondo della telefonia mobile sarebbe cambiato, e anche quello dell’informatica. In realtà, a prescindere dei mille difetti che ognuno trovò pur non ammettere la portata dell’annuncio, il primo modello di iPhone aveva, a mio avviso, un vero grande limite : l’impossibilità di installare applicazioni di terze parti. Il jailbreak mostrò da subito le reali potenzialità dell’oggetto, e l’anno successivo aprì i battenti l’App Store, vera arena di scontro tra i vari sistemi mobile attuali.
Dopo il successo dell’iPhone, qualche anno più tardi (arriviamo al 2010), Apple si preparava a lanciare il prodotto che forse sta lasciando il maggior segno nel cambiamento delle abitudini degli utenti: iPad. Accolto con un po’ di freddezza , iPad spiazzò comunque la concorrenza, e una volta immesso sul mercato riuscì a conquistare tutti quegli utenti che erano alla ricerca di un tablet.
Dal mondo di iOS e dei rispettivi dispositivi Apple ha attinto a piene mani anche per lo sviluppo dei Mac: le gestures sul trackpad multitouch nascono dalla modalità di interazione con l’interfaccia dell’iPhone, mentre lo schermo Retina nasce su iPhone 4 , viene portato su iPad e poi arriva sui Mac. Non solo l’hardware, ma anche il modello di business dell’App Store su iTunes viene trasposto sui computer di Cupertino con il Mac App Store, così come molti altri aspetti del sistema operativo che andiamo ad esaminare qui di seguito ricordano più o meno fedelmente iOS. MacOS X
Nel 2004, anno in cui inizia questa nostra analisi, sui Mac girava ancora Panther , la versione 10.3 di MacOS X, ultima versione esclusiva per le macchine con processore PowerPC.
La versione successiva, nome in codice Tiger , arrivò invece nel 2005 e fu la prima versione a girare ufficialmente anche sui primi Mac con processore Intel; in realtà la versione x86 di Tiger non fu mai messa in vendita sugli scaffali, ma era data in dotazione solo a chi, nei primi mesi del 2006, comprava uno dei primi Mac-Intel. Tiger portava con sé delle importanti novità, come Spotlight (il potente motore di ricerca di OS X), le cartelle smart (aggiornate dinamicamente proprio grazie alle possibilità di indicizzazione e ricerca nei metadati di Spotlight), il sottosistema grafico Core Image e il supporto per la memoria indirizzata a 64bit.
Non fece neanche in tempo ad uscire Tiger (a fine aprile del 2005) che dopo poche settimane, nel corso della WWDC di giugno, Jobs presentò al pubblico la versione successiva del sistema: Leopard (MacOS X 10.5). Leopard arrivò sul mercato nell’ottobre del 2007 e fu il primo sistema operativo di Apple realizzato appositamente (ma non esclusivamente) per la nuova architettura x86. Tra le novità di Leopard va sicuramente citato Bootcamp , il sistema che crea una partizione e fornisce tutti i driver necessari per installare Windows sul Mac, facendolo girare nativamente. Bootcamp ha sicuramente contribuito alla diffusione del Mac, rassicurando gli utenti provenienti da sistemi Microsoft sulla possibilità di installare anche sul PC di Apple un sistema che già conoscono. Le novità di Leopard sono molte (più di 300, pubblicizza Apple) e vanno dalla vista in CoverFlow degli elementi del Finder a Time Machine , un sistema di backup automatico incrementale.
Leopard è l’ultimo sistema di Apple a supportare i processori PowerPC: Apple punta ad accelerare e concludere la transizione hardware, quindi da Snow Leopard in poi (siamo nel 2009) i nuovi sistemi saranno esclusivamente per Mac-Intel. MacOS X 10.6 viene venduto come un semplice miglioramento del sistema precedente (pulizia del codice PPC e ottimizzazione per i 64 bit) ma in realtà, sotto il cofano, nasconde delle novità molto interessanti, come Open CL e Grand Central Dispatch . In uno degli ultimi aggiornamenti (la release 10.6.6) Snow Leopard introduce il Mac App Store, preludio all’avvicinamento con il mondo di iOS e fine della distribuzione del software Apple su CD/DVD.
Lion , arrivato nel 2011, rappresenta un punto di svolta nei sistemi della Mela: al di là della forma di distribuzione (si scarica dal Mac App Store oppure, in seguito, viene distribuito su chiavetta USB), MacOS X 10.7 dismette Rosetta (l’emulatore di codice PPC) e inizia ad integrare un maggior numero di similitudini con l’interfaccia utente di iOS. Si va dalle gestures alle applicazioni a tutto schermo, passando per Launchpad e l’integrazone di iCloud, e tutte queste novità non sono sempre gradite da chi pensa che Apple stia dedicando troppo tempo ai gadget iOS. Questa idea, unita al cessato supporto di Rosetta, e al fatto che Lion funziona esclusivamente su macchine a 64bit (richiedendo più RAM per funzionare al meglio), fa sì che l’adozione di Lion sia più lenta di quanto non avvenga di solito con i nuovi sistemi Apple, e ancora oggi (come accennato sopra) dopo il passaggio di Mountain Lion e Mavericks c’è ancora una buona percentuale di utenti che utilizza Snow Leopard.
Da Lion in poi le similitudini con iOS sono diventate sempre più forti, e da Mountain Lion in poi il nome ha perso la desinenza “Mac”, diventando semplicemente “OS X”. Al di là delle ottimizzazioni e delle migliorie tecniche, Mountain Lion ha integrato il pannello delle notifiche, Game Center, Messaggi, i promemoria, e la possibilità di definire a livello di sistema gli account di Twitter e Facebook predefiniti dell’utente. Ancora: con il recente Mavericks (nome che abbandona la serie felina) sono arrivate le Mappe di Apple e, finalmente, iBooks, l’applicazione per leggere sul Mac i libri acquistati sull’iBooks Store. A fronte di questi cambiamenti esteriori, ci sono sempre e comunque diversi cambiamenti anche nelle tecnologie più nascoste, mentre per la prossima release ci si attende una restiling estetico completo ad opera di Ive (sperando che incontri i gusti degli utenti).
Jobs
Oltre a tutti i prodotti di cui abbiamo parlato sopra, c’è un evento accaduto nel corso di questi ultimi dieci anni che più di tutti ha cambiato la storia della società della mela: la malattia e la morte di Steve Jobs.
Fu proprio dieci anni fa, nel 2004, che a Jobs venne diagnosticato un tumore al pancreas. Fu lo stesso Jobs a raccontare la sua esperienza nel famoso discorso ai laureandi di Stanford , il 12 giugno del 2005 (il discorso che si concluse col motto “Stay Hungry. Stay Foolish”). In ogni caso le notizie sulla sua salute non vennero mai divulgate in modo preciso, e questo generò diverse polemiche da chi pretendeva di avere notizie certe sul futuro della persona che guidava una delle società più influenti del panorama informatico mondiale. Durante la degenza per la rimozione del tumore Jobs lasciò la guida di Apple a Tim Cook, e la cosa si ripeté nel 2009, quando Jobs dovette sottoporsi ad un trapianto di fegato. Nel frattempo Jobs sviluppò anche il diabete di tipo uno, e questa sua condizione (unita a non meglio precisati “problemi ormonali”) vennero spesso presi come giustificazione del fatto che apparisse sempre più magro. Nella biografia di Walter Isaacson emerse che in realtà la diagnosi avvenne già nel 2003, ma Jobs rifiutò le cure per nove mesi pensando di vincere la malattia con metodi naturali: solo nel 2004 prese coscienza del fatto che la situazione stava degenerando e decise di farsi operare chirurgicamente.
Jobs morì nella sua casa a Palo Alto (California) il 5 ottobre del 2011, dopo essersi dimesso dalla sua carica di amministratore delegato chiedendo al Consiglio di Amministrazione che il suo posto venisse occupato da Tim Cook. Già dall’inizio di quell’anno Jobs aveva chiesto un congedo per motivi di salute lasciando la guida a Cook, anche se non volle mancare alla presentazione del secondo modello di iPad.
Inutile chiedersi cosa avrebbe fatto Apple se Jobs fosse ancora qui: Steve, diversamente da quando fu cacciato da Sculley nel 1985, ha avuto tutto il tempo di circondarsi di persone fidate e preparare gli sviluppi futuri dell’azienda. Ovviamente, più passa il tempo, più le sue indicazioni si fanno vaghe, e la nuova Apple sta imparando a camminare sulle proprie gambe: probabilmente Jobs non avrebbe mai immaginato la rivoluzione nei vertici di fine 2012, ma in mancanza di una personalità con una visione come la sua, credo che l’attuale organizzazione dei compiti (con una maggiore collaborazione tra i reparti) sia il metodo migliore per far fruttare tutte le competenze presenti in Apple.
C’è chi dice che Apple abbia perso il primato come azienda più innovatrice del settore: io credo che nel 2014 vedremo almeno tre prodotti nuovi di una certa importanza, e credo che la nuova concezione del Mac Pro, così come il processore Apple A7 e il Touch ID, siano segni tangibili del fatto che Apple può tracciare ancora tracciare la via per lo sviluppo di nuovi prodotti. Ne frattempo, se qualcuno di voi dovesse aver comprato azioni AAPL dieci anni fa, sicuramente non può lamentarsi di una performance che fa segnare un +4.600 percento.
Domenico Galimberti
blog puce72
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