Quando due fatti accadono negli stessi istanti in due parti differenti del mondo, si può pensare alla semplice casualità del caso, oppure si può risalire al teorema per un battito d’ali da un capo del mondo possa generare una tempesta dall’altra parte del globo. Oppure ancora, più semplicemente, il fatto che nella Carolina del Nord sia morto Bernard Madoff negli stessi momenti in cui a New York Coinbase sia entrato in Borsa si tratta di una semplice contemporaneità su cui riflettere.
Non c’è alcun legame diretto tra Madoff e Coinbase (mettiamo le mani avanti), così come non c’è alcuna correlazione esplicita tra il modello di business dell’uno e dell’altro. Inevitabilmente la correlazione temporale tra i due accadimenti riporta però alla mente le parole con cui il tycoon Warren Buffet definì a suo tempo il fenomeno Bitcoin: “veleno per topi al quadrato“.
Da Madoff al Bitcoin
La storia di Madoff è nota, sebbene la sua epopea sia intelleggibile soltanto col senno del poi: nel pieno della sua ascesa, infatti, erano ben pochi a sollevare dubbi sul suo operato mentre miliardi di dollari stavano andando in fumo sotto gli occhi di tutti. Madoff non aveva fatto altro che applicare uno schema ben noto a tutti e marchiato a fuoco con il simbolo del “made in Italy”: lo “schema Ponzi” – nato da menti italiane, ma esploso nel liberismo statunitense – si ripete nel tempo sotto nuove forme, imparando ad adattarsi per una mimesi sempre più perfezionata ed efficace.
Il Bitcoin è o non è uno schema Ponzi? Sono esplose guerre per temi ben meno divisivi di questo. Se lo spunto è quello della correlazione casuale tra la morte di Madoff e la quotazione di Coinbase, è doveroso almeno portare avanti una semplice riflessione: il sistema Bitcoin vede oggi 2 indirizzi possedere l’1,66% del totale dei bitcoin, 83 indirizzi possedere il 12,05% e 2144 possedere il 28,02%. Si tratta di uno schema a piramide nel quale pochi indirizzi possiedono una grande ricchezza e moltissimi indirizzi posseggono piccole quote (il 51% degli indirizzi ha in mano lo 0,02% dei bitcoin minati). Una distribuzione peraltro nota, di cui non c’è di che stupirsi, propria di molti sistemi e non certo soltanto delle criptovalute. Ma a far riflettere non è tanto la distribuzione, quanto le dinamiche interne di monetizzazione.
Il problema (se di problema si tratta) sta nel fatto che il bitcoin non sia ad oggi una moneta spendibile – benché Tesla stia facendo molto per smontare questo ostacolo -, dunque la ricchezza è generata oggi dalla capacità di uscire dallo schema attraverso transazioni che monetizzano il valore potenziale del proprio portafoglio virtuale. Sono questi movimenti a consentire l’acquisto di beni, valute, azioni, oggetti preziosi, eccetera. Per favorire questi movimenti, i vertici della piramide hanno una sola possibilità: ampliare la base della piramide stessa.
Quando Andreessen Horowitz parla delle ambizioni di Coinbase di aprire a 3,5 miliardi di persone la possibilità di gestire le criptovalute dal proprio smartphone, di fatto sdogana questa necessità: una piramide nella quale i movimenti aumentano, di fatto è una piramide con maggior valore poiché aumenta il numero delle transazioni e – parallelamente – i ricavi dalle commissioni correlate.
L’idea di Coinbase sembra dunque essere del tutto geniale e valida, poiché aggiunge ormoni ad un meccanismo che già l’Oracolo di Omaha definiva “al quadrato” e su questo dinamismo crea ricchezza. Quel che resta da capire è se il Bitcoin possa essere veleno per topi o meno, considerazione che qualcuno considera ovvia e altri considerano blasfema. Nel caso, quindi, resta da capire chi sia il topo.