Major, un cartello per la musica digitale?

Major, un cartello per la musica digitale?

Varie cause legali riunite a New York: nel corso degli anni le grandi sorelle avrebbero comunicato in segreto per fissare accordi illeciti. Stabilite soglie condivise di prezzo per ogni canzone distribuita online
Varie cause legali riunite a New York: nel corso degli anni le grandi sorelle avrebbero comunicato in segreto per fissare accordi illeciti. Stabilite soglie condivise di prezzo per ogni canzone distribuita online

Avrebbero stretto accordi in gran segreto per gettare sul mercato della musica digitale l’ombra di un vero e proprio cartello. Le grandi sorelle del disco si sarebbero così riunite per stabilire una soglia condivisa di guadagni a partire da milioni di canzoni online. Sono queste, in estrema sintesi, le accuse da cui si dovranno difendere le etichette, dato il recente segnale di via libera al processo da parte di una corte d’appello di New York.

Un gruppo di tre giudici del tribunale di Manhattan ha infatti fornito l’autorizzazione a procedere, stabilendo che un numero sufficiente di prove è stato presentato a sostegno delle accuse. Riprenderà in questo modo il tragitto legale di un processo nato nell’aprile del 2007 e bruscamente interrottosi nell’ottobre 2008. Un giudice newyorchese aveva infatti sottolineato l’inesistenza di fatti concreti a sostegno dell’accusa.

O, meglio, accuse. Si tratta in realtà di un’azione legale che ha messo insieme 28 cause, intentate sul territorio degli Stati Uniti tra la fine del 2005 e il luglio del 2006. Tutte contro le grandi sorelle del disco – tra cui Universal, Sony BMG e Warner Music Group – per lo stesso motivo: avrebbero comunicato tra di loro nel corso degli anni, siglato accordi segreti legati a distribuzione, restrizioni d’uso e soprattutto dinamiche condivise di prezzo .

Nello specifico , pare che le grandi etichette in questione abbiano previsto delle clausole comuni chiamate dall’accusa most favored nation . Queste avrebbero avuto come obiettivo quello di tutelare gli interessi economici reciproci, ad esempio attraverso la stipulazione di un patto sulle dinamiche di prezzo della musica digitale. Precisamente, una soglia condivisa di 0,70 centesimi di dollaro (circa 0,50 centesimi di euro) per ogni brano online.

In altre parole, un cartello. Un insieme di attori del mercato digitale che si mettono insieme per fare muro, per limitare la concorrenza, per raccogliere la maggior parte dei profitti. Non a caso, le accuse hanno portato all’attenzione della corte una strana coincidenza : che le major negli scorsi anni si siano rifiutate di fare affari con eMusic, rivenditore numero due negli Stati Uniti. Ovvero con un servizio che offre i propri brani a 0,25 centesimi di dollaro, senza restrizioni alcune sull’utilizzo da parte degli utenti delle canzoni acquistate.

Condizioni di vendita che non sarebbero affatto gradite alle major del suono, che hanno invece optato – stando sempre alle accuse – per canali online più profittevoli. Come ad esempio iTunes. Come ad esempio i servizi (ormai collassati) MusicNet e pressplay . Le etichette avrebbero così preferito un invitante cocktail a base di costosi abbonamenti annuali e meccanismi di DRM. A loro, adesso, la palla.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
14 gen 2010
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