Sono troppi e troppo intricati i nodi che si avvolgono intorno a crimini commessi online e che i tribunali della Malaysia sono incaricati di sciogliere: in futuro potrebbe essere un cybertribunale dedicato ad occuparsi di dirimere le questioni insolute e a giudicare i netizen accusati di aver violato la legge.
A reclamare l’avvio di una strategia più mirata per fronteggiare le minacce che la Malaysia intravede nella rete è il ministro delle Comunicazioni Shaziman Abu Mansor: i crimini online sembrano moltiplicarsi, negli scorsi tre anni sono 30 i casi sottoposti all’attenzione del procuratore generale. A mobilitare le autorità sono sovente cittadini della rete che si scagliano contro le politiche governative, sobillatori che turbano l’ordine pubblico con affilate denunce e pungenti invettive.
Non basta dunque investire i netizen di responsabilità rinunciando alle minacce di registrazione coatta e di leggi ad hoc , non basta dare fiducia ai cittadini della rete riconoscendo il valore dei media online. A parere del Ministro Shaziman l’avanzata della banda larga pone dei rischi che le autorità dovranno prepararsi ad affrontare: il governo prevede che entro il prossimo anno la penetrazione della banda larga crescerà dal 18 per cento, fino a raggiungere metà delle famiglie malesi. In quel caso nemmeno le truppe di pensionati connessi potrebbero costituire un efficace deterrente alle sortite sconvenienti: “Se nel futuro non dovessimo più riuscire a gestire i casi di cybercrimini perché aumenteranno di numero – ha annunciato il ministro – potremmo aver bisogno di un cybertribunale dedicato”.
Se la Malaysia medita su tribunali speciali per temperare con condanne mirate le pulsioni dei netizen sgradite alle autorità, la Cina mette in campo una strategia di respiro decisamente più ampio. L’ annuncio emesso dalle autorità promette l’avvio di una campagna lunga un mese che avrà l’obiettivo di ripulire la rete dalla illegale trivialità che attenta alla moralità dei giovani cittadini della rete. I netizen cinesi sono incuriositi dalla pornografia, una pornografia che corrompe menti malleabili e induce i giovani a delinquere: le famiglie invocano aiuto e chiedono allo stato di mettere in salvo le giovani generazioni. Ma le autorità non hanno modo di perseguire e riportare sulla retta via ciascun cittadino: per questo si rivolgono ai portali e agli intermediari della rete.
Sette istituzioni si sono mobilitate per “purificare l’ambiente culturale di Internet e incoraggiare un salutare sviluppo dei minori”, sette istituzioni hanno lanciato il primo avvertimento a Google , a Baidu e a 17 portali cinesi , responsabili di “aver sfruttato vuoti legislativi” e di “aver messo in campo ogni tipo di strategia per distribuire contenuti di bassa qualità, crudi e persino volgari”. “Fra quei siti che ignorino gli avvertimenti – ha minacciato il rappresentante del governo Cai Mingzhao – qualcuno lo denunceremo, qualcuno lo puniremo, qualche altro lo faremo chiudere”.
Non è sufficiente che i motori di ricerca abbiano adottato in Cina politiche di autocensura : le istituzioni della Repubblica Popolare li invitano ad esercitare con maggiore risolutezza il loro ruolo di gatekeeper, li invitano a bloccare meglio e a bloccare di più . Se Baidu non si è ancora espresso a riguardo, la Grande G ha già opposto la propria reazione alle minacce delle autorità: Google non è che un motore di ricerca, non produce contenuti ma si limita a renderli accessibili senza per questo violare le leggi che condannano i pornografi.
Ma non di sola pornografia si tratterebbe. Se le campagne per epurare il Web dai contenuti sessualmente espliciti si sono susseguite nel tentativo di estirpare dalla rete il materiale che corromperebbe le menti più sensibili, a parere di molti l’azione della Cina si dispiegherebbe nel più ampio quadro della circolazione dell’informazione. Sono 206 milioni i netizen cinesi che utilizzano la rete come principale fonte di notizie: alcuni dei siti nominati dalle autorità sono dedicati al dibattito politico, un dibattito che potrebbe rivelarsi incandescente nell’anno del 60esimo anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare e a vent’anni dagli eventi di Tienanmen.
Gaia Bottà