Caso Capitol Records v. Thomas-Rasset , atto secondo: all’inizio di questa settimana è stato dato il via al nuovo processo contro Jammie Thomas, rea secondo gli avvocati dell’industria di aver messo in condivisione 24 brani sul network di file shating KaZaa senza averne alcun diritto . Forte della nuova assistenza legale trovata a tempo di record, la signora Thomas ha intenzione di sfruttare la seconda occasione concessale dal giudice Michael Davis per provare di non aver fatto alcunché, e di stabilire una volta per tutte se le prove delle major reggono in tribunale .
Dopo mesi di attesa e confronti a distanza, lunedì le parti sono passate allo scontro diretto davanti a corte e giuria, ospitati in un’aula al quindicesimo piano della Corte Distrettuale del Minnesota dove presiede l’onorevole Davis. Prevedendo il processo una giuria popolare che dovrà esprimersi sull’accusata, la scelta dei componenti di tale giuria è stato di per sé un evento interessante per i parametri di selezione e le reazioni dei candidati alle domande proposte loro.
Nella fase pre-processuale non solo l’industria ha presentato quei documenti di certificazione della proprietà legale del copyright che l’avvocato Kiwi Camara aveva chiesto in precedenza, ma si è avuto anche modo di scremare quei pochi, tra i potenziali giurati, che avrebbero potuto avere preconcetti sul caso in oggetto. Fuori dunque chi aveva avuto occasione di scaricare un paio di brani da un account di terzi, non procedendo oltre per evitare di “essere beccato e finire… qui”, e chi più in generale aveva avuto più esperienza (ancorché quasi sempre indiretta, a dire degli interessati) col P2P messo sul banco degli imputati.
Nella maggioranza dei casi la giuria è composta da persone rispettose della legge, quel tipo di persone che al massimo sostiene di acquistare tutti i brani del suo lettore portatile su iTunes con tutti i crismi della legalità. Nel pomeriggio di lunedì si è finalmente passati al processo vero e proprio, e già nelle fasi iniziali si è avuta conferma della determinazione della difesa e del fatto che non mancheranno i colpi di scena durante il dibattimento.
Kiwi Camara, l’avvocato della signora Thomas che si è preparato per il processo in poche settimane e sta organizzando una class action contro RIAA assieme a Charles Nesson, ci è subito andato giù duro con il consulente generale di Sony Music Entertainment Gary Leak. La difesa di Camara è sostanzialmente un attacco basato su domande rapide in successione con annessa presentazione di obiezioni ai testimoni (dell’accusa) prima ancora che questi abbiano la possibilità di concludere il discorso.
La testimonianza più interessante che Camara è riuscito a “estorcere” a Leak è quella sulla “giustezza” dei danni chiesti alla signora Thomas, quei famigerati 222mila dollari per 24 brani che per l’avvocato di Sony dovrebbero anche andare oltre, sino a raggiungere il tetto massimo di 150mila (cento-cinquanta-mila) dollari per brano e qualche centinaio di milioni di dollari complessivi . Con questo processo bisogna mandare un messaggio a tutti i condivisori impenitenti, ha sostenuto Leak.
Camara ha detto che Thomas è proprietaria di 200 CD-Audio regolarmente acquistati, un comportamento che si confà più alla “migliore cliente dell’industria discografica” piuttosto che a una “ladra” come la vorrebbe dipingere l’accusa. Riguardo la storia del fantomatico hard disk sostituito per nascondere le prove, ha sostenuto l’avvocato, si è trattato semplicemente della riparazione per un guasto dovuto all’eccessiva foga videoludica del figlio della signora Thomas, niente di più niente di meno.
Ma il fulcro della linea difensiva che Camara intende seguire è il fatto che in realtà le major non hanno prove sufficienti per far condannare l’imputata, che non esista alcuna evidenza sul fatto che la donna abbia condiviso i brani su KaZaa in spregio alla legge al di là dei download eseguiti dai mastini di MediaSentry per conto dell’industria, cioè i proprietari degli stessi brani scaricati dalla rete.
Passando dalla difesa all’accusa il punto di vista si capovolge ma la determinazione appare la stessa: Tim Reynolds, avvocato capo della squadra legale delle etichette discografiche, ha posto l’accento sul fatto che non solo esistono prove evidenti a carico di Thomas (i due “avvisi” di download illegali, via FedEx e IM direttamente su KaZaa che la donna dice di non aver mai ricevuto, il nick “tereastarr@KaZaA” scovato dagli “investigatori” di MediaSentry, il software di P2P installato sul PC), ma che la violazione “è stata sostanziale, massiva” constando di più di 1.700 brani contenuti nella cartella condivisa dell’account incriminato.
E poi c’è ancora il collegamento tra l’indirizzo IP scovato su KaZaa e l’indirizzo MAC fisico corrispondente al dispositivo di accesso a Internet di proprietà della signora Thomas, i metadati dei brani scaricati da MediaSentry, tutti fili della ragnatela di accuse che le major hanno rimesso in piedi nella speranza di convincere ancora una volta giudice e giuria a concedere loro la vittoria. Camara sostiene che tutte queste informazioni non sono in grado di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che dietro quell’IP, quella tastiera e quell’account KaZaa ci fosse la signora Thomas in carne e ossa al momento del “crimine” del download, e per verificare quanto la sua posizione riesca a reggere non resta che attendere la continuazione del dibattimento nel corso della settimana.
Alfonso Maruccia