Avrebbe potuto cedere sulla cifra minima di 750 dollari a brano scaricato . Un totale di 18mila dollari che Jammie Thomas-Rasset avrebbe potuto versare nelle casse della Recording Industry Association of America (RIAA), dopo aver condiviso su Kazaa 24 brani in violazione del copyright. L’accordo avrebbe così evitato il terzo processo alla mamma più famosa del P2P.
Avrebbe potuto cedere. Thomas-Rasset ha invece detto no, chiedendo alle autorità del Minnesota di rivedere le stesse misure giuridiche alla base dell’ormai campale battaglia legale. Abbandonare il concetto stesso di remittitur – quel tipo di sentenza volta a diminuire l’entità pecuniaria dei danni stabilita da una giuria in una causa civile – per abbracciare una linea aderente alla Costituzione.
In altre parole, i legali della donna hanno chiesto al giudice Michael Davis di considerare il reato in proporzione agli effettivi danni subiti dall’industria del disco . Quindi di tenere a mente l’esatto valore economico di un brano distribuito online, intorno alla cifra di 1 dollaro . Una proposta contestata dai legali di RIAA, sicuri che sia soltanto uno stratagemma della mamma del P2P per evitare il terzo atto del processo.
L’esatto importo da pagare ai rappresentanti dell’industria era progressivamente diminuito nel corso del processo, avviato nell’ormai lontano 2006. L’ultima offerta fatta all’accusa consisteva in poco più di 2mila dollari a brano scaricato . Ma RIAA aveva rifiutato, portando il giudice Davis ad un evidente stato di frustrazione.
La corte del Minnesota ha tuttavia respinto le richieste di mamma Jammie, sostenendo di non avere l’autorità di sovvertire la decisione della giuria per fare in modo che i danni da pagare siano proporzionali alle reali ferite economiche inferte all’industria del copyright. Il terzo atto è ora inevitabile, fissato per il prossimo 2 novembre.
Mauro Vecchio