Un’altra “mamma pirata” ha perso la sua personale battaglia contro la Recording Industry Association of America ( RIAA ). Dopo la condanna di Cecilia Gonzales anche Patti Santangelo ha dovuto piegarsi al volere della Corte Federale di New York che ha ritenuto la figlia Michelle colpevole di violazione delle leggi sul diritto d’autore a causa del download illegale di musica.
Il giudice C. Robinson ha condannato la ventenne al pagamento di 750 dollari per ognuna delle 41 tracce pirata scaricate: un multone da 30.750 dollari per non aver ottemperato alle richieste delle major coinvolte.
Jordan Glass, il legale della giovane, ha dichiarato di non poter ancora commentare la sentenza. Anche Jenni R. Engebretsen, portavoce della RIAA, ha deciso di seguire la stessa strategia sebbene ormai la sua organizzazione stia portando avanti migliaia di azioni legali simili in tutta la nazione.
Patricia Santangelo è l’ultima vittima di un sistema che a suo parere colpevolizza le persone più che le soluzioni tecnologiche – come in questo caso il file-sharing. Patricia ha rifiutato fin dall’inizio qualsiasi trattativa con le major discografiche alimentando una campagna difensiva anche sul piano mediatico.
“RIAA continua a bombardare migliaia di utenti con denunce e richieste di risarcimento danni. A volte arrivano a ricattare, richiedendo ingenti somme di denaro, sempre più grandi, per evitare ulteriori procedimenti legali”, aveva dichiarato mamma pirata , che per sua ammissione non sa neanche accedere un PC.
Quando a dicembre le accuse nei suoi confronti sono state ritirate, le case discografiche si sono scagliate contro sua figlia Michelle e suo figlio, di 16 anni. La ragazza è stata denunciata; il ragazzo, forse perché minorenne, è stato “graziato”. Un’eccezione rispetto alla regola, perché, secondo le statistiche, l’industria discografica negli ultimi anni ha decisamente cambiato registro : 18 mila cause, anche contro minorenni e nella maggior parte dei casi con pensanti sanzioni.
Dario d’Elia