La madre inglese di un giovane omicida è pronta a sbandierare sui tabloid l’ossessione del figlio per il videogioco violento di turno, incoraggiando così le politiche censorie e certa demagogia del governo inglese. Quello cinese, invece, non agisce per conto terzi: le campagne anti-gaming appaiono quasi morbide e salutari, ma la schedatura dei giocatori è dietro l’angolo.
Londra, l’assassino scivola nell’ombra, nascondendosi dietro ad angoli bui di palazzi squallidi. Si avvicina con passo felpato e sgozza il nemico con un solo gesto muto, il sangue che sgorga a fiotti. Nulla a che vedere con Hitchcock e l’ alternarsi allusivo di lame, ombre e tendine che si sfilano: “Non sapevamo che i videogiochi fossero così brutali e realistici” si è giustificata la madre del giovane assassino, un bravo ragazzo, caposcout e studente modello, arrestato lo scorso anno e recentemente condannato per aver ucciso un’infermiera con 72 coltellate, presunto emulatore del protagonista di Manhunt.
Infierisce , sguaiato, News Of The World : “il ragazzo SI ALLENAVA alla Playstation nella sua cameretta buia”, trasfigurando un titolo horror come Manhunt in un “macabro mondo virtuale fatto di sadismo, rituali sanguinari e morte”. Particolari che non possono che fomentare lacrime e invettive di genitori che dispensano console ai figli in tenera età, di famiglie che non sono a conoscenza delle abitudini e dei passatempi dei figli. Genitori pronti ad invocare la censura governativa piuttosto che vigilare sulla dieta videoludica dei minori, basandosi su sistemi di classificazione come l’europeo Pan European Game Information ( PEGI ) e l’americano Entertainment Software Rating Board ( ESRB ).
Lo Stato, alla ricerca di un consenso da costruire sugli ondivaghi fermenti popolari, era infatti tempestivamente intervenuto in vece dei genitori distratti, assurgendo a padre apprensivo. Un governo che aveva commissionato studi esplorativi che non individuavano correlazioni dirette tra videogiochi violenti e violenza reale, ma che al tempo stesso ha bloccato la distribuzione del secondo titolo della serie Manhunt. La scure censoria del Regno Unito è stata fatta calare indistintamente sulla platea dei giocatori, adulti o minori che fossero, provvedimento che è probabile abbia sospinto anche l’ iniziativa italiana in materia.
E se le famiglie occidentali, assecondate dai governi, scaricano le responsabilità e puntano il dito contro la violenza oltre lo schermo, in Cina il bando della videoludica sottende filosofie e intenti differenti .
Come già si paventava nei mesi scorsi , segnala AP , sono ora attivi i primi limitatori del tempo di gioco online : dopo tre ore davanti allo schermo, i gamer sono invitati ad allontanarsi dalla scrivania, per ritemprare la mente dedicandosi alla cura del corpo.
Dopo una sessione di gioco della durata di tre ore – quanto basta per terminare una partita all’ edificante gioco degli scacchi – l’utente vedrà i suoi sforzi premiati con punteggi progressivamente minori. Punteggi che si azzereranno dopo cinque ore di gaming ininterrotto, per scongiurare vittime e prevenire ogni tipo di dipendenza che costringerebbe a cure militaresche quanto costose.
La campagna governativa della Repubblica Popolare è già stata recepita dai distributori dei MMORPG più diffusi, tra cui World of Warcraft , che solo in Cina conta tre milioni e mezzo di appassionati. Al momento della registrazione l’utente dovrà inserire gli estremi del proprio documento d’identità, discriminante che consente di individuare i minori e di sottoporli al razionamento dei tempi di gioco. Già pullulano le offerte di documenti falsi e di false identità: i giovani netizen si armano contro il razionamento del gaming, mentre nessuno sembra preoccuparsi dell’eventualità di essere schedati . Del resto, la schedatura è stata introdotta a più riprese dal governo cinese, con lo stesso intento del razionamento del gaming: “Promuovere una cultura salutare dell’online”, rendere Internet più salubre e civilizzata.
Gaia Bottà