La foresta pluviale del Suriname avvolge l’inviato di Wired Andy Isaacson. A fargli da guida, un uomo addosso al quale spiccano con vivacità il rosso del telo che gli scivola sui fianchi e il lampeggiare del modulo GPS che stringe in mano.
Wuta, questo il nome del cicerone di Isaacson, lavora, insieme ai membri della sua tribù, ad un progetto di Amazon Conservation Team , un’organizzazione che, con il beneplacito dei governi locali, ha dato il via alla mappatura partecipativa dell’intera foresta pluviale. Il progetto, lanciato nel 2000, propone agli abitanti di tutti gli stati dell’area amazzonica di apprendere e trasmettere l’arte della cartografia, di esplorare le aree che circondano i loro villaggi, GPS alla mano, collaborando a tracciare mappe di una delle regioni meno esplorate del pianeta. Mappe che contribuiscano a tramandare le culture dei popoli che vi abitano, e a garantire la loro sopravvivenza .
Paesi come il Suriname, infatti, non garantiscono alle popolazioni indigene alcun diritto sulla terra che abitano: le tribù locali subiscono espropri a favore dei “pionieri” dell’Amazzonia, che vampirizzano la foresta attingendo indiscriminatamente alle miniere d’oro e alla varietà di risorse di questo ecosistema. A complicare la situazione, il fatto che i più giovani comincino ad orbitare intorno alle città, trascurando i problemi che affliggono le aree in cui sono nati ed allentando il legame con una cultura vitale, avvinta alla terra che li ospita.
Il primo obiettivo della mappatura del territorio dell’Amazzonia è culturale: nel 2000 è stata tracciata la prima mappa della regione con toponomastica indigena . Se i più giovani si sono incaricati di pattugliare il territorio muniti di sistemi di posizionamento , di annotare coordinate e di collaborare con cartografi professionisti reclutati da ACT, le persone più anziane hanno instillato nelle carte geografiche la cultura che si è tramandata nei secoli, localizzando aree sacre (spesso sede di risorse strategiche come fiumi o piante medicinali) e luoghi significativi per la storia della popolazione, individuando le aree pescose e quelle nelle quali cacciare e raccogliere con più profitto.
Si sono inoltre impressi su carta confini mai tracciati, che hanno contribuito a consolidare presso le popolazioni locali la consapevolezza del territorio da loro abitato, consentendo loro di esporre rivendicazioni più persuasive e di mobilitare le autorità per sottrarre la terra che abitano alla deforestazione e all’inquinamento che la stanno mettendo a soqquadro.
In maniera analoga a quanto avviene per l’iniziativa africana Cyber Tracker , a confini ed indicazioni topografiche e culturali nel 2006 si è aggiunta sulle mappe tematiche anche la localizzazione delle minacce : sono stati individuati e segnalati gli insediamenti dei cercatori d’oro che inquinano i fiumi, le zone sottoposte a razzia di piante rare, il dilagare delle aree diboscate.
Un’operazione resa possibile anche dalle fotografie satellitari offerte gratuitamente da Google Earth, passate in rassegna centimetro per centimetro dalle popolazioni amazzoniche che collaborano al progetto di ACT. “Con le immagini ad alta risoluzione aggiornate di recente, possono individuare la variazione di colore nelle acque dei fiumi causate dall’accumulo di materiale e dall’inquinamento prodotto da una vicina miniera”, ha spiegato a Mongabay Vasco van Roosmalen, a capo della divisione brasiliana di ACT.
All’individuazione dei rischi a mezzo di fotografie satellitari, seguono le perlustrazioni e le denunce alle autorità competenti. “Faccio le mappe perché non voglio che le aziende arrivino fino a qui”, ha spiegato Wuta. Cultura e tecnologia, ha aggiunto, stanno diventando due pilastri fondamentali per le popolazioni amazzoniche: hanno consentito loro di agire in maniera più responsabile sul territorio, consapevoli delle risorse che la terra ha messo loro a disposizione.
Gaia Bottà