Non ci stancheremo di dirlo finché non si stancheranno di riprovarci (cit.), dunque è doveroso tornare sull’argomento anche a distanza di 24 ore dal primo tweet di Luigi Marattin sul tema dell’anonimato online. Oggi, infatti, il deputato di Italia Viva è tornato sull’argomento, rispondendo alle contestazioni ricevute su Repubblica.it (ignorando invece approfondimenti ben più argomentati pubblicati altrove) e rilanciando sulla sua proposta.
Marattin ribadisce anzitutto che “non possiamo andare avanti con la fogna che è diventato il web”, sollevando quindi ulteriori osservazioni che illustri rappresentanti del mondo dell’editoria, del diritto e della giurisprudenza hanno già smontato ieri. Ma Marattin rilancia, e dovere nostro è vedere fin quando, e con quali argomentazioni, intenderà puntellare la sua battaglia (per la quale ci siamo permessi di sollevare anche qualche dubbio ulteriore).
Rispondendo a Marattin, punto per punto
- “non possiamo andare avanti con la fogna che è diventato il web”
Affermazione debole, strumentale e valida soltanto ad alimentare i nostri dubbi circa la dolosità della proposta anti-anonimato: il Web è soltanto uno strumento, una pubblica piazza come altre ce ne sono in ogni bar, in ogni ufficio e in ogni contesto pubblico. Tali contesti sono già regolamentati: sul Web, anzi, si lasciano tracce e si è molto meno anonimi che non in qualsiasi manifestazione di piazza (ad esempio). Chi insulta, offende o minaccia sul Web è perseguibile senza il bisogno di alcuna legge speciale: puntare il dito sul Web è dunque un modo per demonizzare uno strumento e nulla più di questo; - “già oggi è possibile identificare con assoluta certezza tramite l’indirizzo Ip l’utente di ogni profilo social” e “anche qualora questo non sia possibile, è giusto che ciascuno possa ricorrere all’anonimato in rete“: “i due punti sono in contraddizione. Se è vero il primo (‘già oggi tutti sono identificabili’), non sussiste il secondo (‘è giusto che rimanga il diritto alla non identificabilità’)“.
Facciamo un passo indietro: dove sta scritto che le fonti dell’odio online siano anonime? Quale statistica c’è a supporto di questa (non supportabile) tesi? Se in realtà l’hate speech è tutto fuorché anonimo, allora perché cercare una soluzione di impossibile adozione tecnica, di improbabile allineamento con la GDPR, completamente dissonante rispetto a ogni “carta dei diritti” fin qui abbozzata e pienamente disallineata rispetto alle prescrizioni europee? - “non vedo perché sul web non debba valere lo stesso contemperamento di interessi che avviene sul carta stampata”
Anzitutto perché il Web non è editoria; perché i social network non sono classificati come editori (se la pensa in modo differente, sposti su quel piano la propria battaglia; perché gli utenti sono responsabili per sé stessi. Ma soprattutto: se magistratura e Ordine dei Giornalisti non sono in grado di fermare taluni titoli e taluni articoli che ogni giorno vediamo sulla carta stampata, come possiamo pretendere che il sentire comune possa essere differente? Come si può pensare di fermare l’odio di migliaia di persone quando non si è in grado di fermarne le poche fonti accreditate da tesserino da giornalista? - “il diritto all’anonimato va garantito ma contemperato con un’altra considerazione a tutela dell’interesse pubblico: la tutela dello spazio pubblico come un luogo in cui chiunque può essere chiamato a rispondere di ciò che scrive”
Vale anche il ragionamento contrario: la tutela dello spazio pubblico va contemperata con il diritto all’anonimato, poiché in caso contrario si dà vita a qualcosa che, se solo fosse proposto in Cina o in Russia, si solleverebbero gli strali di chi difende la libertà di espressione: identificare a monte significa censurare a valle e la cosa è talmente lapalissiana che non occorrerebbe ripeterlo per due giorni di fila per poter instillare il beneficio del dubbio ad un deputato della Repubblica Italiana; - “il problema non sono (solo) gli insulti in rete e qualche centinaio di odiatori frustrati, ma il condizionamento dell’opinione pubblica con notizie false e la conseguente manipolazione della formazione del consenso”
Ancora: tutto ciò avviene solo sul Web? Cosa pensa di fare contro la disinformazione aggravata dei media mainstream (tv, giornali)? A cosa serve un provvedimento contro l’anonimato se il problema sono le fake news, le cui fonti sono solitamente tutto fuorché anonime (condivisioni e retweet sono regolamentabili in altro modo, per regolarne i flussi e soffocarne le derive); - “i meccanismi possono essere diversi, ad esempio sulla falsariga di quanto già avviene oggi con lo Spid”
Chi controlla un meccanismo di questo tipo? Lo Stato? Poniamo ora che al Governo vada un partito di estrema destra, con forte presenza sui social network, con grande pulsione razzista ed orgogliosamente populista: siamo certi che uno strumento simile nelle mani dello Stato sia ancora una buona idea? - “Per il semplice fatto che si tratta di una cosa che le grandi aziende del web non hanno interesse a fare, visto che con buona probabilità aumenterebbe la qualità degli utenti ma diminuirebbe la quantità, e con essa i ricavi connessi”
Diminuire la quantità non è soltanto un problema dei social network, ma anche di tutti noi. L’Italia è un paese che per paura del Web ha sfruttato male e poco le opportunità che il Web offre. Opportunità economiche, ma anche dialogiche e di confronto. In questa occasione non si fa altro che perpetrare questo vizio: cercare di soffocare il Web, cercare di intimorire le relazioni sul Web, cercare di alimentare i fantasmi che già da troppo tempo tengono gli italiani lontani dalle vere virtù del Web.
Altre risorse utili per approfondire l’argomento:
Infine
Per chi volesse riderci su, ecco come l’ironia è spesso la miglior arma critica. In questo caso con particolare sagacia, essendo un fake:
https://twitter.com/luigimarattin/status/1189489267459919872