Stai entrando al supermercato, in metropolitana, andando lavoro, a scuola, e hai scordato la tua mascherina a casa. Insomma, non saresti obbligato: è il 2022, l’emergenza è finita, ma le buone abitudini no. E poi c’è questa benedetta variante uber-omega di cui si parla tanto e tu sei un po’ raffreddato. Per rispetto degli altri vorresti coprirti la bocca e il naso, ma non vorresti neppure inquinare ancora con un rifiuto indifferenziato; tra l’altro, l’anno prossimo l’Unione Europea ha detto stop a ogni usa-e-getta e vorresti già adeguarti. Troverai quella scatola all’ingresso?
Eccola, che fortuna: strappi la tua mascherina, la indossi e sei tranquillo. Tra un paio d’ore potrai anche gettarla, anzi, quasi quasi la conservi e la metti in giardino stasera. Ti sono sempre piaciute le canne di bambù.
Questa è una storia possibile, anzi già probabile. Viene dalla Toscana. La tissue valley italiana e mondiale, il fiore all’occhiello dei distretti industriali della regione stabilmente sul podio italiano dell’attrattività degli investimenti stranieri e che alla sua maniera sta dicendo qualcosa di nuovo sul fronte dell’economia circolare.
Myfaceroll
Un esempio perfetto di innovazione per resilienza è l’idea nata alla Körber durante il picco della pandemia nel 2020. C’era scarsità di mascherine e la pandemia stava fermando tutto, racconta Osvaldo Cruz, amministratore delegato del gruppo tecnologico con oltre 10mila dipendenti nel mondo, che ha una business area specializzata nelle soluzioni avanzate per l’industria della carta.
Tiene tra le mani una scatola, è uguale a quella dei fazzoletti, ma dentro c’è qualcosa di completamente diverso: è una mascherina. Fatta soltanto di carta, o meglio di carte. L’azienda ha le migliori macchine per chi vuole fare prodotti di questo materiale, quando durante il lockdown l’unico modo per avere mascherine era attendere la Cina, da queste parti (Lucca) qualcuno cominciò a pensare creativamente. Cruz disse “andate avanti” e come spesso capita, provandoci senza un obiettivo programmatico, ne è nato qualcosa di interessante: il progetto Myfaceroll. Tre punti di forza concentrati in un esperimento: “Si tratta di fatto di una conversione molto semplice, intelligente delle macchine, che consente di produrre diecimila mascherine al minuto, venti volte più dei macchinari utilizzati oggi”, racconta l’amministratore delegato. “Inoltre, si adatta ai “tessuti non tessuti”, compreso un materiale a base di bambù compostabile con i rifiuti organici, per cui dopo l’uso puoi liberartene senza preoccupazioni. E ha un costo così relativo da avvicinarsi allo zero”.
Funzionerà? È da perfezionare, si vede che è un prototipo, ma l’idea è buona. Apre uno scenario post-emergenziale nel grande ambito dei dispositivi igienici personali di sicurezza. Che siano compostabili diventerà un obiettivo altrettanto urgente.
“La mascherina normale è molto inquinante, è composta da diversi materiali e di fatto è impossibile da riciclare”, spiega Osvaldo Cruz. “Penso che per diverso tempo ancora avremo a che fare con questo dispositivo, la pandemia non è finita, potrebbero volerci ancora anni, e sono anni in cui non possiamo continuare a inquinare”.
La tissue valley e il sistema per le imprese
La storia della mascherina compostabile nasce nella tissue valley toscana. Circa 10mila occupati per un fatturato di quasi 5 miliardi di euro all’anno: sono i numeri di un’area, compresa tra Lucca e Pistoia, dove hanno sede circa 340 aziende specializzate tra carta e cartotecnica e produzione di macchinari per la carta. Un settore che ha prima mostrato capacità di reazione durante la pandemia, rinnovandosi e puntando ancora di più su sostenibilità ambientale ed economia circolare per tenere in equilibrio il mercato, e adesso si candida a cambiare almeno qualche regola in fatto di impatto ambientale di ciò che comunemente chiamiamo carta, packaging, ma anche mattone. A Collodi è stato sviluppato un impianto che produce carta dai sottoprodotti delle lavorazioni agroindustriali, residui di arance, mais o caffè. Nello stabilimento produttivo di Porcari, in provincia di Lucca (sempre dell’azienda Essity) c’è un innovativo processo che consente di reimpiegare i fanghi di cartiera in prodotti per l’edilizia.
Questo ambiente industriale esiste per ragioni storiche, ma non sarebbe nello stato attuale di espansione senza “Invest in Tuscany”, uno sportello per gli investimenti parecchio nativo e specifico. È infatti una struttura nata in seno alla presidenza della Regione che da 11 anni si occupa di supportare e agevolare aziende e multinazionali che vogliono investire sul territorio favorendo nuove opportunità di business e occupazione. Un’attività politico-tecnica che ha chiuso, prima della pandemia, 101 operazioni greenfield – cioè nuove attività produttive attivate da un’impresa internazionale per la prima volta in una data area – creato 7.500 posti di lavoro, portato 2,8 mld di investimenti stranieri. Per numero di progetti, la Toscana è quarta in Italia dietro Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna, ma per valore degli investimenti è seconda dietro la Lombardia. In soldoni: con meno distretti di altri, ha fatto proporzionalmente e in termini assoluti di più.