Washington (USA) – La censura applicata da Microsoft ai danni di un blogger cinese continua a coagulare sdegno . Dopo la dura reazione di Reporters sans frontières ( RSF ), che ha condannato l’azione come “una violazione dei diritti di espressione definita nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo”, adesso si è acceso l’altoparlante del Committee to Protect Journalists ( CPJ ), organizzazione non profit che vigila sul diritto alla libertà di stampa.
“CPJ condanna le autorità cinesi per aver voluto censurare il blogger Zhao Jing, ed è allarmata per la conseguente azione di chiusura di Microsoft”, si legge nel comunicato stampa rilasciato da CPJ. Le dichiarazioni del blogger censurato, riguardanti la manifestazione dei giornalisti cinesi svoltasi qualche settimana fa, hanno riacceso i riflettori sul problema della censura politica cinese e sulla connivenza delle aziende occidentali.
“Inizia decisamente a disturbare che l’azione repressiva del Governo cinese abbia reso complici le aziende Web”, ha dichiarato Ann Cooper, direttore esecutivo di CPJ. “Il fatto che queste imprese debbano onorare accordi contrattuali per operare sul territorio non le assolve dalla responsabilità di offrire servizi che rendano possibile la libera circolazione di informazioni, quali fondamenti della cultura Web”.
Microsoft ha più volte dichiarato che le sue azioni non possono prescindere dalle legislazioni locali vigenti. “La maggior parte dei paesi hanno leggi e usi che obbligano le aziende a fornire servizi online compatibili con la sicurezza degli utenti locali. Occasionalmente, come è successo in Cina, le leggi locali si concentrano su pochi elementi salienti”, si legge in un comunicato di Microsoft.
Fra questi “elementi” rientra anche il divieto di utilizzo di termini contrari alle direttive cinesi, come “dimostrazione”, “movimento democratico” e “indipendenza per Taiwan”. Già bannati da MSN Search per soddisfare le esigenze orwelliane di Pechino. E MSN Spaces, frutto di una joint venture fra Microsoft e la locale Shanghai Alliance Entertainment, è diventato il servizio di blog hosting più famoso del paese ma anche il più controllato grazie alla presenza di un sistema “ombra” che scandaglia quotidianamente i vari post.
Committee to Protect Journalists non è una voce fuori dal coro, è forse una delle poche ancora che si affanna a parlare di e per conto dei 32 giornalisti incarcerati in Cina, rei di aver pubblicato online dichiarazioni scomode.
Dario d’Elia