Un mondo diviso in due: da una parte Mediadefender, l’azienda coinvolta in uno scandalo senza precedenti oltreché in attività di monitoraggio del P2P, dall’altra i gestori e gli utenti dei servizi P2P, che ora iniziano a ricevere le prime diffide da Mediadefender. La società, infatti, sta cercando di far rimuovere dai principali snodi delle reti di sharing quel file da 700 mega che, come ben sanno i lettori di Punto Informatico , sta circolando ormai da giorni: al suo interno una quantità di comunicazioni riservate che stanno mettendo in imbarazzo l’azienda, per usare un eufemismo.
Ne parla ars technica , che segnala come un celebre sito torrentizio , isoHunt , abbia risposto alla diffida inviata dai legali di Mediadefender, che chiedevano la cancellazione del torrent di quel file sulla base del DMCA. Il sito, peraltro canadese, si è detto disponibile a rimuovere quei materiali se l’azienda sarà in grado di mandare una diffida legalmente ineccepibile: quella giunta – spiega isoHunt – non sembra nemmeno scritta da un avvocato.
Non ricorre al sarcasmo, invece, il sito europeo Meganova , che in un post del proprio blog conferma la ricezione di una simile diffida. Un documento a cui Markus , uno dei gestori del sito, ha risposto senza usare mezzi termini: prima ne parla come di un “puerile tentativo di rimuovere le vostre email dall’intera Internet”, ricordando anche che in Europa le leggi americane non vigono, e poi prosegue con una serie di epiteti irripetibili in questa sede.
Nei fatti, il caso di Mediadefender, come previsto al momento del leak di quelle informazioni confidenziali, non fa che allargarsi ogni giorno che passa. Tanto più che la crew che ha fatto girare quel file, Mediadefender Defenders ha realizzato un sito che, pur reso poco accessibile da – pare – un attacco DDoS (del quale accusa MediaDefender), pubblica materiali che non giovano alla reputazione dell’azienda.
In tutto questo, e ars non manca di sottolinearlo, il ricorso alle diffide antiP2P tramite avvocati è incomprensibile: l’esistenza stessa di MediaDefender è dovuta proprio al fatto che le crociate legali delle major contro il P2P non abbiano mai funzionato come queste ultime avrebbero sperato, tanto da spingerle a rivolgersi a chi, con altri mezzi, avrebbe potuto tentare di ingaggiare una battaglia, peraltro sonoramente perduta, con le piattaforme di sharing. E, questi, altri non è che Mediadefender.