Attività di racket, riciclaggio di denaro, violazione massiva del diritto d’autore. Sono le pesanti accuse scagliate dalle autorità statunitensi contro il boss di Megaupload Kim Dotcom e i suoi soci in affari Mathias Ortmann, Finn Batato e Bram van der Kolk. Guai seri per i quattro alfieri del file hosting, che rischiano fino a 20 anni di prigione se obbligati a presentarsi davanti alla giustizia a stelle e strisce . Inizialmente previsto per il prossimo 6 agosto, il processo in cui si deciderà dell’estradizione per i responsabili di Megaupload è stato ufficialmente posticipato , rimandato dal giudice neozelandese alla primavera del 2013 . Troppi gli errori procedurali commessi dal Department of Justice (DoJ) in collaborazione con gli agenti federali, in particolare nel corso del raid che aveva portato alla chiusura dei mega-domini e al sequestro dei beni appartenenti a Dotcom.
Complicazioni legali che hanno così costretto il giudice neozelandese a rimandare la data per il processo ai quattro imputati, che ancora non hanno ricevuto una copia delle prove incriminanti per organizzare al meglio la difesa . Le autorità statunitensi vorrebbero infatti spedire solo 40 pagine di materiale, una piccola frazione dei 150 terabyte di dati ottenuti dopo il sequestro.
Si parla di oltre 22 milioni di messaggi di posta elettronica nelle mani della pubblica accusa . Lo stesso giudice neozelandese aveva ordinato ai federali statunitensi di copiare entro poche settimane tutto il materiale utile alla formalizzazione dei capi d’accusa. Il boss Kim Dotcom continua a puntare il dito contro gli States , rei di aver adottato una strategia attendista per evitare la creazione di una barricata legale.
“Hanno distrutto il mio business. Hanno preso tutti i miei beni”, ha cinguettato Dotcom su Twitter. La nuova data fissata dal giudice – marzo 2013 – servirà ora a prolungare la battaglia legale tra i vertici del mega-impero e il DoJ. Lo stesso mandato di perquisizione e sequestro dei beni di Dotcom era stato ritenuto “non valido”. Un giudice statunitense aveva addirittura messo in dubbio il prosieguo del processo .
Nel frattempo, i vertici della Motion Picture Association of America (MPAA) hanno negato qualsiasi coinvolgimento del vicepresidente Joe Biden nel raid dello scorso gennaio. Nessun incontro segreto per distruggere Megaupload, come invece sostenuto da Dotcom qualche settimana fa. Il meeting si sarebbe tenuto per organizzare un viaggio in Cina nel tentativo di rimuovere i blocchi commerciali all’ingresso dei film made in Hollywood.
Mauro Vecchio