Il tira e molla per la trasparenza si conclude con un punto a favore per Megaupload: le prove che dovrebbero inchiodare Kim Dotcom e i suoi sodali sono state strappate dalle mani dell’accusa dalla decisione della High Court neozelandese.
Il boss di Megaupload aveva già ottenuto una prima vittoria per costruire le basi della propria difesa nel caso in cui la giustizia decidesse per l’ estradizione che lo costringerebbe ad affrontare il processo negli Stati Uniti: già nel mese di maggio il giudice neozelandese David Harvey aveva stabilito che gli Stati Uniti avrebbero dovuto garantire a Dotcom, agli altri imputati e ai loro legali gli incartamenti contenenti le prove raccolte dalle autorità, trasparenza necessaria per ribattere colpo su colpo in tribunale . Gli Stati Uniti hanno però per mesi ignorato tale obbligo, tentando di svincolarsi chiedendo una revisione della sentenza.
La decisione della High Court presieduta da Helen Winkelmann, però, non permette ora sviluppi a carte coperte: Kim Dotcom, Mathias Ortmann, Finn Batato e Bram van der Kolk hanno diritto a sapere cosa gli Stati Uniti sanno di loro . “Senza la consegna delle prove – spiega il giudice Winkelmann – sarebbero significativamente limitati nella capacità di prendere parte attivamente all’udienza”, e l’accusa godrebbe di “un significativo vantaggio in termini di accesso all’informazione”.
È così che le autorità statunitensi dovranno consegnare tutti i documenti relativi alle operazioni sotto copertura condotte dagli agenti, ai dati che si sono affastellati sui server di Megaupload, tutte le informazioni messe a disposizione dai detentori dei diritti per giustificare le loro rivendicazioni, ma anche tutte le informazioni relative agli scambi intercorsi fra lo staff dello stesso Megaupload, gli utenti e i detentori dei diritti, comprese le comunicazioni relative alle richieste di rimozione basate sul DMCA. A meno che gli USA non rispondano con un ricorso in appello, come già paventato dal legale di Dotcom Ira Rothken.
Gaia Bottà