Sono trascorsi ormai più di tredici mesi da quell’1 dicembre 2018 che ha visto l’arresto in Canada (su richiesta degli USA) di Meng Wanzhou, Chief Financial Officer e figlia di Ren Zhengfei (fondatore del colosso asiatico). Sul suo conto gravano capi d’imputazione relativi a frode e una violazione delle sanzioni commerciali contro l’Iran per la fornitura di apparecchiature e tecnologie informatiche. In seguito gli Stati Uniti hanno avanzato una richiesta di estradizione.
La Cina chiede la liberazione di Meng Wanzhou
Torniamo oggi sul caso poiché dalla Cina è giunta un’ennesima richiesta per la sua liberazione, nel minor tempo possibile. Una vicenda complessa, che ha innescato reazioni a livello diplomatico, con Pechino che in seguito all’arresto a sua volta ha fatto scattare le manette per Michael Kovrig e Michael Spavor, due cittadini canadesi accusati di costituire un pericolo per la sicurezza nazionale. Queste le parole di Geng Shuang, portavoce del Ministro degli Esteri del paese asiatico, affidate oggi alla stampa in occasione di una conferenza.
La volontà del governo cinese di proteggere i diritti legali dei suoi cittadini è ferma e risoluta.
Ipotesi estradizione negli USA per la CFO di Huawei
La vicenda è stata descritta dallo stesso portavoce come una “seria questione di natura politica”. Oggi è attesa la comparsa di Meng Wanzhou in una corte di Vancouver, per la prima udienza del procedimento che deciderà se accogliere la richiesta per la sua estradizione negli Stati Uniti. La donna si è sempre definita estranea alle accuse, ribadendo ad ogni occasione possibile la propria innocenza.
Un ennesimo tassello dell’articolato puzzle che configura i rapporti diplomatici e commerciali tra USA e Cina, con le due superpotenze giunte a un accordo proprio la scorsa settimana, compiendo così un passo in avanti con l’obiettivo comune di lasciarsi alle spalle una trade war che prosegue ormai da parecchio tempo. Tutto questo senza dimenticare il ban di Huawei introdotto nella primavera scorsa da Washington che di fatto impedisce alle aziende americane di fornire tecnologia e componentistica al gruppo di Shenzhen per presunte violazioni legate a spionaggio e sicurezza dei dati.